Traiano: Appia costiera e porto.

 

 
Nel 109 d. C. Traiano conquistò la Dacia, quella che ora si chiama Romania. L’insaziabile fame di frumento della plebe romana trovava nuova soddisfazione; occorreva, però, che il rifornimento fosse il più regolare possibile, anche nei periodi di navigazione precaria: da novembre a marzo. Brindisi divenne così più che mai indispensabile scalo mercantile: pochissimi giorni di bonaccia facevano azzardare la traversata invernale.

Il trasporto terrestre, da Brindisi a Roma, doveva procedere anch’esso regolarmente. La via Appia c’era già ormai da oltre 400 anni, ma, proprio la sua età pluricentenaria reclamava restauri che l’Imperatore intraprese in modo sistematico, lungo l’intero percorso.

Nel tratto terracinese per accorciare il percorso di un solo miglio e risparmiare la salita fino a quota 147 metri venne affrontato l’immenso lavoro della tagliata di Pisco Montano. Risale dunque a quel tempo la variante costiera dell’Appia qui stretta tra le rupi e gli spruzzi delle onde del mare.

  F. 1a

Il preesistente tracciato all’interno della Valle di Terracina, sottoposto a oltre 400 anni di usura, anche dal traffico locale, fu completamente rifatto. Le pietre di calcare furono usate solo per i marciapiedi, mentre per la sede carraia il materiale locale venne sostituito da blocchi di basalto nero, proveniente dai Colli Albani.

F. 2a

n un punto compreso tra la stazione ferroviaria attuale e Piazza 4 Lampioni, la variante voluta da Traiano deviava a destra e costeggiava in basso la città antica. Nell’orto a ridosso del muro poligonale si rinviene ancora qualche lastrone di basalto nero dell’antica sede stradale, depredata fin dal medioevo.

F. 3a

 

L’arco interrato che ancora si individua dietro l’Ufficio Centrale delle Poste, ai piedi della Rampa Braschi, indica il percorso e la quota dell’Appia di Traiano. L’arco è però di periodo successivo e venne a costituire l’entrata da est alla cinta muraria che, nel periodo tardo antico, venne posta a presidio della strada.

F. 4a

La pietra miliare posta sull’Appia attuale, ribattezzata Via Roma, risale al 1795, ma si riferisce alla riapertura della strada voluta da Pio VI (1784). Essa reca la cifra romana LXVIII (68 miglia dall’Urbe = km 102 circa). Si noti che in epoca romana la corrispondente distanza era di sole 62 miglia. Ora la strada, nella zona dei Castelli Romani, indulge a ampie varianti per affrontare pendenze più lievi.

F. 5a

 

L’impianto settecentesco del nuovo quartiere, voluto da Pio VI e disegnato dal Valadier, assume come decumano una nuova strada, parallela a quella di Traiano, ma di poche decine di metri più spostata verso la costa, L’antica strada venne purtroppo ricoperta dai nuovi edifici: la chiesa del San Salvatore, ad esempio, le si sovrappone, trasversalmente.

F. 6a

Giunta all’altezza di Piazza della Repubblica, la strada piegava leggermente a sinistra per dirigersi verso la rupe che fu necessario asportare in parte per consentirle il passaggio. Poco prima, sulla destra di Via Marconi, all’interno di Villa Salvini, si possono ammirare un centinaio di metri ancora integri della Regina delle strade.

F. 7a

 

Il lungo caseggiato sulla sinistra, rappresentato nella stampa del 1839, è stato bombardato durante l’ultima guerra (il 4 Sett. Del 1943), esso aveva come fondamenta proprio il tratto di Via Appia rappresentato dalla foto precedente, e proprio per questo era riuscito a preservarsi dalla asportazione del basolato.

F. 8a

Il taglio della rupe di Pisco Montano fu un'opera imponente: oltre 13.000 mc. di roccia furono asportati, per un'altezza 128 piedi (= m. 38) e per una lunghezza di 1000 piedi (= m. 296). Tanto lavoro per evitare la salita a Piazza Palatina e per accorciare il percorso di appena un miglio.

F. 9a

 

I segni di scalpello perfettamente ancora visibili ed i cartigli incisi nella roccia e recanti le cifre romane indicano il procedere dei lavori dall'alto verso il basso. Le cifre furono poste ogni 10 piedi (m. 2,90 circa). Naturalmente manca la cifra zero, ignota ai Romani.

F. 10a

Oggi il piano stradale, rispetto a quello dell'Appia traianea, è notevolmente più alto. La cifra più in basso attualmente visibile è quella che reca le lettere CXX (=120). Ce ne dovrebbe essere però un'altra, almeno così testimoniò chi nel 1911 vide la cifra CXXIIX (=128) più in basso del piano stradale attuale, in occasione di uno scavo. Allora furono anche visti due gradini intagliati intorno alla rupe.

F. 11a 

Il piano della strada romana, all’altezza del taglio di Pisco Montano, si trovava, e si trova, a circa 70 cm, sotto il piano attuale asfaltato. All’altezza del Cappello di Prete - tra l’Acqua Magnesiaca e la Torre gregoriana – il piano dell’Appia traianea è coperto da almeno 3, 4 metri di detriti caduti dall’ alto. Il piano di posa è individuabile dall’allineamento delle pietre nere di basalto che si trovano solo un paio di metri sopra la linea di battigia attuale.

F.12a

Numerose pietre nere affiorano tra gli scogli, o si intravedono appena sotto il pelo dell’acqua: sono le tracce di quell’Appia voluta da traiano, che in questo punto toccava, letteralmente, il mare.

F. 13a

Poco prima della Torre dell’Epitaffio, la variante costiera dell’Appia si congiungeva con la più antica via, che scendeva da Piazza Palatina. Il punto di incontro tra le due strade è segnato da un’esedra i cui blocchi in opera quadrata affiorano tra la vegetazione.

F. 14a

 

Tra la torre ed il sepolcro romano sulla sinistra passavano le due Appie antiche, ormai sovrapposte. Fino a qualche decennio fa anche l’attuale Strada Statale n. 7, Appia passava tra i due monumenti, e, sotto l’arco che segnava l’ingresso allo Stato Pontificio.

F. 15a

 

Il porto di Traiano

Se è vero che, già alla fine del VI secolo prima della nascita di Cristo, Tarracina, con il suo nome di origine etrusco - ma non solo per questo - sotto l’influenza della Roma dei Tarquini, cofirmataria del primo trattato romano - cartaginese, sulla rotta dall’Etruria a Cuma, aveva, se non un porto, almeno un agevole scalo ben frequentato anche in età repubblicana. Una grande insenatura, ora interrata, doveva trovarsi all’incirca dove ora è Piazza Garibaldi ed offriva comodo asilo alle navi di passaggio.

‘E per altro condivisibile l’ipotesi dell’avanzamento della linea di battigia ed il progressivo insabbiamento ancora in atto sulla riviera di levante ne è prova abbastanza convincente.

È altresì plausibile l’opinione del Bianchini e di altri, secondo la quale, fin dall’inizio, quello di Terracina - Anxur fu sostanzialmente un porto canale.

Il porto attuale, sempre assediato dall’insabbiamento, è ben poca cosa, per estensione e traffico, rispetto a quello attribuito a Traiano.

Quella del Canina, come tutte le ricostruzioni, utilizza l’immaginazione, e tuttavia tiene a freno la fantasia, utilizzata solo nei particolari. L’impostazione generale è basata su tracce che, ancora alla fine dell’ottocento, erano molto più consistenti delle attuali.

F. 1b

 

La schiera di case popolari, orientate sulla linea SE – NO, è parallela alla banchina rettilinea del porto romano interrato. Il bacino, guardando la foto, si trovava sulla sinistra. All’inizio di questa banchina l’ingresso al porto era reso sicuro, anche di notte, dalla presenza di un faro.

F. 2b

 

- Il rilievo di M.R. de la Blanchère è del 1881, allora, tracce molto più numerose rendevano leggibile l’area portuale. Che occupava 117.000 metri quadri. Superficie atta a contenere ben 11 campi di calcio attuali. Si noti in alto a sinistra la collinetta di sabbia, il Montuno, generata probabilmente dalla parziale escavazione del bacino.

F. 3b

 

Nel 1795 il porto era completamente interrito, al suo interno c’erano orti ed aranceti, solo un’esile via d’acqua, lungo il molo rettilineo, consentiva lo sbocco del canale e l’attracco a qualche veliero nella rada antistante.

F. 4b

 

- Il lato curvilineo verso il mare aperto, così come mostra una tela del 1920 di D. Ricci, era attrezzato con grandi pietre forate per legarvi le gomene delle navi ormeggiate. Calcolando distanze e spazio disponibile, esse dovevano essere oltre 60.

F. 5b

 

- Questo bassorilievo fu rinvenuto in località poco distante dall’area portuale, rappresenta, verosimilmente, i lavori per costruzione del porto di Terracina. Si noti, ad esempio, come dall’argano penda una pietra di ormeggio, non molto dissimile da quelle della figura precedente.

F. 6b

 

- Il de la Blanchère, nel 1881 calcolò il numero dei magazzini (celle portuali) in numero di 76, ne rilevò le misure di ciascuno (m. 6,81 x m. 6 circa) e ne propose questa ricostruzione.

F. 7b

 

- "Misteriosi" conglomerati di calcestruzzo contornano l’area portuale. Essi, altro non sono che le volte delle celle portuali, spezzatesi al centro e crollate dai piedritti. La salsedine bimillenaria ha sbriciolato il tufo di cui erano prevalentemente composti i muri di sostegno.

F. 8b

 

- Sorte migliore è toccata alle pareti di fondo in opera mista. I muri ripresi nella foto si trovano all’interno del magazzino dell’attuale Cooperativa dei Pescatori, stabilendo così una continuità d’uso che si richiama a quasi 2.000 anni fa.

F. 9b

 

- Da sempre i pescatori terracinesi hanno alimentato il commercio clandestino delle anfore. Rare

sono le denunce tempestive ed ancor più rare le consegne spontanee. Tuttavia, i depositi del museo civico conservano decine di esemplari di varia età e tipologia. Naturalmente il tipo più frequente è quello denominato: Dressel 1.

F.10b

^ Gli esemplari di anfore coprono un arco di tempo abbastanza ampio: il maggior numero si colloca, però tra il 3° secolo a. C. ed il 3° d. C. con particolare addensamento intorno al 2° secolo d. C.

^ Le provenienze sono le più disparate: dall’area egea al medio oriente, dall’Italia alla Spagna meridionale.

^ I prodotti trasportati erano soprattutto vino ed olio, ma spesso anche salsa di pesce e, perfino, allume di Lipari.

- Molto più complesso è far passare inosservato il rinvenimento in mare di dolio. Questi contenitori hanno forma globulare, più o meno sferica, il loro diametro arriva al metro e mezzo e l’altezza supera talvolta questa misura. La capacità variava tra i 1.500 ed i 2.000 litri.

F. 11b

 

- Purtroppo dopo essere stato portato a terra con gravi danni alle reti, quasi nessun dolio resta a Terracina: continuano a viaggiare. Quello della foto precedente è partito per Sperlonga, questo, ancor prima, ha preso il largo per il Circeo (si controlli il singolare rattoppo in piombo).

F. 12b (a + b)

 

La flottiglia da pesca di Terracina conta 135 navigli per complessive 1350 tonnellate.. Solo 22 imbarcazioni sono abbastanza grandi per praticare la pesca al largo. Il pescato sbarcato nel porto di aggira attorno alle 1.000 tonnellate annue. Circa mille persone, direttamente od indirettamente, vivono dei proventi della pesca.

F. 13b.

Clicca qui per tornare al menù precedente

 

 

Clicca sulle foto per ingrandirle

Foto 1a
 

Foto 2a
 

Foto 3a
 

Foto 4a
 

Foto 5a
 

Foto 6a
 

Foto 7a
 

Foto 8a
 


Foto 9a

 

Foto 10a
 
 

Foto 11a
 
 

Foto 12a

Foto 13a
 

Foto 14a

Foto 15a
 
 
 
 
 

 


Foto 1b


Foto 2b
 

Foto 3b

Foto 4b
 

Foto 5b


Foto 6b

Foto 7b
 

Foto 8b
 

Foto 9b
 

Foto 10 b
 

Foto 11 b
 

Foto 12 b
 

Foto 13 b