L’esame delle emergenze archeologiche
romane, sopravvissute alle ingiurie del tempo, ci induce a rilevare
per Terracina una certa sproporzione quantitativa e qualitativa in
favore delle opere pubbliche e a danno dell’edilizia abitativa
privata, soprattutto se si confrontano le aree urbane occupate dalle
prime e dalle seconde.
Ciò per tre ordini di motivi:
1)
Gli edifici pubblici erano in genere più resistenti e
massicci delle “domus” o delle “insulae” private.
2)
La predominanza economica dell’attività agricola attirava
i lavoratori intorno alle “villae” o in abitazioni relativamente
precarie del suburbio.
3)
Gli edifici pubblici,
sacri o profani, si concentravano nel limitato spazio interno alle
mura, fatte le dovute eccezioni per i santuari extra-moenia (di
Giove e di Feronia), dei sepolcri, delle strutture portuali
Il
teatro nascosto. Che sotto le
costruzioni medioevali, ed ancora più recenti, si nascondesse un
teatro romano era da tempo risaputo: lo rivelavano le case poste a
semicerchio sul bordo della cavea, ma solo i bombardamenti
dell’ultima guerra mondiale hanno reso accessibile l’area agli
scavi in vista di un auspicabile recupero, almeno parziale. (F.
1)
Ricostruzione
attendibile. Il riconoscimento
definitivo del monumento risale al 1968. I saggi effettuati tra il
1998 ed il 2001 hanno fornito dati sufficienti ad una ricostruzione
attendibile. Quella qui presentata è stata ipotizzata
dall’architetto M. Marchetti. (F.
2)
Si
continua a scavare. Scavi recenti sembrano confermare la possibilità di
un recupero, sia pure parziale, dell’area. Il diametro del teatro
era di circa 72 metri e poteva accogliere quasi 4.000 spettatori.
L’epoca di costruzione è riferibile a due fasi : una , più
antica, risalente al tardo periodo repubblicano (I sec. a.C.) ed un
rifacimento successivo, in età imperiale.
(F. 3)
L’anfiteatro
nella città bassa. Nel
quartiere oggi denominato ”Capanne” sorgeva
l’anfiteatro di cui oggi è rimasto ben poco. L’andamento curvilineo delle case, tra Via San Rocco e Via A. Martucci,
ne delinea il perimetro della parte nord orientale. La
struttura ellittica misurava 90 metri nell’asse maggiore, 68 in
quello minore. Le tecnica muraria, a suo tempo rilevata, lo ha fatto
datare al primo secolo. (F.
4)
L’
attribuzione dell’opera alla famiglia Memmia fu
proposta dal De La Blanchére sulla base del ritrovamento di una
iscrizione, (C.I.L. X. 6329):
T. T. MEMMI RUFI PATER ET
FILIUS FECERUNT
Lo storico francese, nel tempo in cui fu a Terracina
(1884), potette vedere resti archeologici, in genere, più integri
di ora e riportarli nelle piante da lui redatte, come in questa. (F.
5)
Il Capitolium. Tradizionalmente,
il tempio i cui resti sono compresi tra il lato nord della
cattedrale e la piazzetta di Portanova
è identificato come il Capitolium della città (Lugli,
1926), pur non affacciandosi, come era consuetudine, sull’area
forense.
Nella ricostruzione del Leporini l’edificio appare come un tempio
italico su alto podio, di stile tuscanico, con quattro colonne sul
frontone. (F. 6)
I bombardamenti
scoprono i resti romani. L’impianto
murario del tempio, inglobato in edifici medioevali, e di epoca
ancora successiva, furono pienamente leggibili “grazie“ allo
sgombero delle macerie provocate dalle bombe dell’ultimo
conflitto. La traccia degli spioventi del tetto della casa che
occultava il tempio si riconosce ancora sull’edificio di Via
Portanova a cui si appoggiava. (F. 7)
Nei resti del
Capitolium, così come appaiono
oggi (dis. di P.
Pernarella ), si riconoscono le tre celle dedicate alla Triade
Capitolina (Giove, Giunone, Minerva), oltre alla colonna di
sinistra, unica superstite delle quattro erette a sostegno del
timpano.
Le favisse, destinate alla conservazione del tesoro della città,
sono costituite da un corridoio a volta, sottostante il pronao, su
cui si aprono tre locali corrispondenti alle tre celle soprastanti. (F.
8)
La strada
retrostante il tempio fu in
parte invasa dallo spigolo nord-occidentale della nuova costruzione.
La strada dovette perdere importanza quando ad essa fu dato un
percorso nuovo tra la parte anteriore del Capitolium ed il Tempio
Maggiore (oggi Cattedrale). Probabilmente essa fu completamente
abbandonata quando venne ristrutturata l’intera area del foro e
del teatro. (F. 9)
L’Appia che
attraversa il Foro Emiliano faceva
il suo ingresso nel Foro cittadino passando sotto un arco
monumentale, oggi inglobato nella sostruzione del Palazzo Venditti.
La strada, anch’essa portata in luce dai bombardamenti che
distrussero sul lato nord della piazza l’antica sede municipale,
è stata recentemente restaurata. Tratti ancora intatti si trovano
certamente sotto il palazzo posto tra la piazza e l’Arco di Galba,
sul lato nord di Via Salita Annunziata, ( F. 10)
Il cosiddetto Arco
di Galba. Anche questo arco,
originariamente quadriportico, fu riportato alla vista dopo i
bombardamenti che distrussero la costruzione che l’aveva
inglobato. Esso costituiva l’ingresso orientale all’area del
foro; il tratto dell’Appia che vi passava sotto appare ben
conservato ( F. 11) ed indica la direzione ideale di un
percorso che, comunque per salire verso il Colle di San Francesco
doveva presentare per lo meno un tornante in discreta pendenza. (
F. 12)
Perché Galba
? La denominazione data all’arco non è attestata da
nessuna fonte antica. La dedica a Servio Sulpicio Galba (3 – 69),
imperatore nell’ultimo anno di vita,
è quindi un tardivo riconoscimento dei Terracinesi ad un
loro concittadino. ( F. 13) famiglia
Sulpicia aveva ricchi possedimenti a Terracina, almeno dal 165 a.C.
e tra essi una villa verso Piazza Palatina ( F. 14), dis,
P. Pernarella.
Dice Svetonio: “Serg. Galba imperator… natus est IX
Kalendas Ianuarias in villa colli superposita, prope Terracinam,
sinistrorsum Fundos petentibus”.
Muro sul lato nord
dell’arco. L’antico
tracciato dell’Appia dovette essere protetto dalla parte del
declivio da un terrapieno più volte restaurato, così come si vede
dai differenti stili della muratura. Se all’inizio si usarono
grandi blocchi, più tardi furono risarciti da opera mista, da stile
tardo antico ed, infine, da murature medioevali. Questo potrebbe
voler dire che il tratto urbano dell’Appia fu in uso per lungo
tempo, anche dopo la “variante” di Traiano, prima che vi si
appoggiasse l’edificio poi distrutto dalla guerra ( F. 15)
Il
tempio di Vicolo Pertinace. Nell’area
compresa tra il lato orientale del teatro ed il Vicolo Pertinace si
trovano i resti di un tempio, ma si ignora a chi fosse dedicato. La
definizione, almeno del perimetro e della forma, è piuttosto
recente. Gli scavi in area bombardata ora sono possibili e forse ci
potranno fornire ulteriori notizie. La salita del Vicolo Pertinace
mostra sul lato sinistro un muro in opus reticulatum
corrispondente al lato orientale, esterno al tempio. (
F. 16 )
Impianto
della città antica. Nel
ristrutturare la città, durante il periodo che va dall’età
sillana ai primi secoli dell’impero, si cercò di regolarizzarne
anche l’assetto viario. La cosa non era facile, in quanto i primi
edificatori dell’abitato, pur cercando di sfruttare
strategicamente il crinale, avevano inglobato all’interno delle
mura tutto lo spazio edificabile a disposizione.
Per dar spazio al Foro Emiliano, oggi Piazza del Municipio, fu
necessario, ad es., ricorrere ad un vasto complesso di gallerie
sostruttive.
Il Centro Storico Alto ha conservato, malgrado il trascorrere dei
secoli e le ingiurie del tempo, fondamentalmente quell’assetto. (F. 17)
Il
sistema del decumano e dei “cardines”. La
città acquistò quindi, pur con le limitazioni imposte dalla
morfologia dei luoghi, l’assetto del “Castrum”:
1)
Il
decumano ricalca l’Appia superiore (oggi Corso Anita Garibaldi),
pur con lo scarto laterale prima del foro, attraversa l’abitato in
direzione Est-Ovest.
2)
I
“cardines”, almeno tre, sono perpendicolari al decumano, e
riconoscibili malgrado tutti gli interventi medioevali. (F.18)
3)
Lo
spazio limitato, interno alla cinta muraria, in tempo di espansione
edilizia, costrinse ad utilizzare (I sec. a. C.) la zona di
Cipollati: “extra moenia”.
L’Appia
prima dell’ingresso in città, attraverso
la porta “Maior” (l’odierna Porta Maggio), è sostenuta da una
potente muraglia dal lato mare. Guardando la foto, che è stata
ripresa dal parcheggio in via G. D’Annunzio (F. 19),
si
possono notare ancora in situ i blocchi calcarei e, sulla destra,
una costruzione tra Appia e Via dei Sanniti. (F.
20)
La
più antica abitazione di Terracina. All’inizio
della salita di Via dei Sanniti
(F. 21) si
trova quella che è, forse la più antica abitazione conservata a
Terracina.
Essa, malgrado gli interventi successivi, conserva la struttura
originaria romana fin quasi all’altezza del secondo piano. ‘E
probabile che questi locali continuarono ad essere abitati, senza
soluzione di continuità, per oltre duemila anni. La tecnica
costruttiva in “opus
incertum” la fanno
datare all’inizio del primo sec. a. C. (F.22)
La
domus di Via Santi Quattro. Se
l’edificio precedente ebbe in epoca antica la probabile
destinazione a botteghe e magazzini, così come sembrano attestare i
locali a volta che si affacciano sul vicolo, non dovettero mancare
all’interno della città vere e proprie “domus” destinaye
all’abitazione di ricche famiglie.
Nel 1980, mentre si procedeva allo sgombero di macerie in Via Santi
Quattro (F.23),
vennero alla luce una serie di mosaici pertinenti il peristilio di
una ricca domus, con ogni probabilità risalenti al II sec. a. C. Il
disegno ricostruttivo, come la foto seguente, sono tratti dai “Quaderni di Altracittà”, 1992 (F. 24)
I
mosaici restaurati hanno
trovato la loro sistemazione nelle favisse del Tempio Maggiore,
sotto la Cattedrale, nei locali denominati “ex botteghe
Pasquali”. Qui è possibile farvi visita negli orari di apertura
che variano secondo le diverse stagioni. (Altre notizie ed immagini
dei mosaici si trovano, in questo stesso sito web, anche al
paragrafo “Tracce di vita nobili e plebee)
(F. 25)
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