Dall’attuale Via Appia e dal mare la serie dei
dodici archi sulla cima del Monte Sant’Angelo costituisce il punto
di attrazione dello sguardo ed il logo forse più conosciuto della
città di Terracina. La semplice ma imponente struttura, alta 8
metri e lunga 62, è in opera incerta e costituisce il sostegno
della terrazza mediana su quella inferiore. (f. 20)
I dodici archi creano altrettanti ambienti
voltati, collegati tra loro da una serie di aperture in asse con l’ambulacro
a cui si accede da sei porte laterali. (f. 21)
Il lungo ambulacro prende luce da due aperture
alle estremità del corridoio e da sei porte alternate a sei
finestre. La volta a tutto sesto, realizzata in gettata unica,
conserva ancora i segni delle tavole e centine di armatura. La
funzione sostruttiva dell’ambiente non escludeva quella
cerimoniale della incubatio notturna. Qui il pellegrino
trascorreva la notte prima di accedere all’oracolo ed alla visita
al tempio. (f.22)
Un’apertura sulla parete a monte dell’ambulacro
sfrutta una cavità naturale. Essa fu interpretata come "antro
delle sorti" e si voleva che fosse collegato con l’impianto
oracolare. Forse, molto più semplicemente, fu una cisterna ad uso
dei pellegrini. (f. 23)
Per salire dal luogo della incubatio alla
spianata del tempio il pellegrino doveva attraversare i tre ambienti
voltati sul lato ovest e montare quindi la scala a cielo aperto che
si trova in fondo all’ultimo ambiente, ad angolo retto con l’asse
principale. (f. 24)
Il uno dei vani sul lato occidentale è
conservato l’unico rocchio di colonna appartenente al tempio del
piano superiore. Esso servì, forse, come altare in epoca
medioevale, nel locale riadattato da un monaco. (f. 25)
La terrazza mediana costò maggiore impegno
costruttivo: pur sfruttando la naturale pendenza del monte il suo
asse mediano non coincide quello del tempio che si è voluto
orientare in direzione nord - sud. Del tempio resta il solo
basamento (m. 20 x 40 circa).
(f. 26)
La ricostruzione prospettica (rielaborata da
quella di Fasolo-Gullini) consente di immaginarsi il tempio: esastilo
(la facciata a sei colonne guardava a sud, era quindi visibile dal
mare), pseudoperiptero (mostrava 28 colonne sull’intero
perimetro, anche se quelle addossate alla cella erano solo a metà),
di stile corinzio (le colonne presentavano 24 scanalature ed
erano sormontate da capitello corinzio). Pronao e cella occupavano
quasi la stessa area. (f.27)
I pellegrini, saliti sulla spianata, non si
recavano subito al tempio, ma seguivano il percorso sacrale, tra la
parte posteriore del tempio ed il portico, di cui oggi resta solo il
podio e la parete di fondo. A somiglianza di quanto avviene presso i
moderni santuari, qui si potevano acquistare ricordini ed ex voto
destinati alla divinità. (f. 28)
Si entrava quindi nel recinto dell’oracolo. Qui
una grande roccia, rivestita in muratura e sormontata da un sacello
ora scomparso, presenta sulla cima un foro collegato con misteriose
cavità: il soffio di aria calda, ancora presente, un tempo forniva
responsi scritti su foglie. (f. 29)
Ad nord-est della roccia oracolare, nel 1894, fu
scoperto un deposito di ex voto (stipe votiva).Oggi l’area, ripulita e transennata, è messa
in evidenza da uno strato di terra rossa.
Vennero allora recuperati più di 70 reperti, tra
cui molti oggetti di uso domestico in miniatura, interpretati come
giocattoli (crepundia) offerti a Giove Fanciullo (f. 31)
Secondo il grammatico Servio: An-xurus significherebbe
senza-rasoio, quindi, imberbe. Oggi, questa
interpretazione e quella attribuzione vengono da più parti messe in
dubbio.
Il tempio, come la maggior parte del complesso
architettonico, viene fatto risalire all’inizio del primo secolo
a. C. (Età Sillana). Non mancano, però, nell’area molte tracce
di strutture sicuramente più antiche . L’intero pavimento della
cella era rivestito da tessere musive bianche con fascia perimetrale
in ardesia nera. Pochissimi sono i frammenti musivi ancora in situ.
(f. 32)
Tutto intorno alla cella un muretto era riservato
a funzioni di culto (sedile? deposito votivo?). Il posizione
centrale, addossato alla parete di fondo della cella è ancora
visibile la base che ospitava la statua di culto. Forse la divinità
era rappresentata in posizione seduta, così come appare sul
rovescio della moneta di C. Vibio Pansa dell’anno 86 a. C. Se è stata la statua ad ispirare la moneta e non
viceversa, il tempio, o per lo meno la statua, dovrebbe precedere
cronologicamente il conio della moneta.(foto 33)
Fino ad ora, la ricostruzione più attendibile
dell’intero complesso, così come doveva apparire a chi guardava
dal basso, è quella proposta un secolo fa in un acquerello dello
storico locale Pio Capponi. Il disegno di Elisabeth Selvaggi,
ripropone una interpretazione che si basa molto a quella prima
ricostruzione.(f.34)
Una scalinata moderna, non perfettamente
coincidente con quella antica conduce al terrazzo superiore che
occupa, a quota 227 m. sul livello marino, la sommità del monte.
Qui si può riconoscere la pianta di un tempio in antis. Fu
forse questo il primitivo tempio di Giove di cui parla Livio,
riferendo che negli anni 206 e 179 a. C. fu colpito da fulmini. (f.
35) Il tempio diruto fu riedificato sulla terrazza artificiale più
in basso forse anche per lasciare libero il luogo più eminente ad
una destinazione militare.
Ad est del tempio in antis un’unica
roccia è stata risparmiata al momento di ricavare la terrazza
artificiale superiore. La roccia, oggi ombreggiata da un carrubo,
mostra evidenti segni di lavorazione antica. Probabilmente fu questo
il primitivo luogo di culto: la specola da cui l’augure osservava
interpretandolo il volo degli uccelli. (f. 36)
Successive modifiche cultuali spostarono l’attenzione
al tempio in antis, al tempio maggiore e, soprattutto, alla roccia
oracolare della terrazza più in basso.
Almeno dalla fine del II sec. a. C., il terrazzo
fu occupato da un "campo trincerato", presidio militare in
posizione dominante da cui si controllava: il mare, la Piana Pontina,
quella di Fondi, oltre al punto critico di Piazza Palatina. Lì,
prima di scendere verso il Lago di Fondi passava l’antico tragitto
dell’Appia di Claudio. (f. 37)
La postazione militare era circondata da un
portico ad U con il lato aperto verso sud, cioè verso il
mare. Il lato chiuso era rivolto a nord, verso l’antica Appia,
dunque. Da quella parte tredici locali intercomunicanti erano posti
sotto gli alloggiamenti dei soldati, alle spalle del portico, (f.
38)
Lo spigolo di nord- est, quello che guarda verso
la Piazza Palatina era rinforzato da un potente torrione
quadrangolare (ciò che si vede oggi è in gran parte frutto di
restauro). In origine dovette avere almeno un altro piano superiore.
(f. 39)
Che questo fosse un punto strategico speciale è
dimostrato anche dalla presenza di una torre medioevale, ancora
intera nel XVII sec., essa è posta al centro dell’antico campo
trincerato. Si narra, tra l’altro, che Teodorico pose in cima a
questa altura il suo accampamento, se la torre fu costruita proprio
in quella occasione è però arduo dimostrare. (f.40)
Dal lato occidentale del campo trincerato parte
un muro di cinta, lungo oltre 600 metri. Esso collega il complesso
monumentale all’acropoli di San Francesco e, quindi, alla città.
Il muro, percorso in cima dal cammino di ronda, è munito di nove
torri esterne a pianta circolare. (f. 41)
Circa la sua cronologia, gli storici fanno due
ipotesi: 217 a.C. allorché si paventava la marcia di Annibale da
Capua a Roma, 83 / 82 a. C. durante le guerre civili tra Mario e
Silla.
Un altro complesso architettonico, meno
imponente, però più antico ed utilizzato anche per un lungo
periodo successivo all’epoca romana, è quello noto localmente con
il nome di "Santangeletto" o "Tempietto".
Non di tempio si tratta, ma delle sostruzioni di un presidio
militare precedente la sistemazione del terrazzo superiore a campo
trincerato, (l’interpretazione è mia). I riadattamenti successivi
ad abitazione di sacerdoti pagani e quindi a santuario cristiano
nell’alto medioevo ne rendono difficile la lettura. (f. 42)
Il "piano superiore" di "Santangeletto"
, anche durante l’ultimo consistente restauro non ha evidenziato
nessuna traccia di tempio antico. Numerose invece sono state le
conferme di un uso abitativo prolungato nei locali evidenziati come
cucina, frantoio, cubicula cisterne ecc. (f. 43)
I vani sottostanti il complesso furono riutilizzati come celle
monastiche, mentre il criptoportico diventò in epoca carolingia
cripta dedicata al culto di San Michele Arcangelo. In nome dato al
Monte Sant’Angelo deriva proprio da questo. (f. 44)
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