Ricostruire
la successione delle fasi geologiche che hanno dato origine alla
penisola italiana, in generale, ed al territorio sud laziale, in
particolare, è problema particolarmente complesso.
200 milioni di anni fa la porzione dell’odierno Mediterraneo su
cui insiste gran parte dell’Italia peninsulare era occupata da un
ambiente neritico, cioè da un mare poco profondo e
relativamente calmo in cui si accumulavano organismi marini e
precipitati carbonatici. Il processo di sedimentazione durò circa
120 milioni di anni, ma interrotto, integrato, complicato da
trasgressioni marine, da subsidenze ed emersioni del fondo, laddove
si accumulava la materia prima che avrebbe costituito l’attuale
piattaforma carbonatica laziale-abruzzese .
Un consistente processo di sollevamento iniziò nel Giurassico (150
– 140 milioni di anni fa), ebbe delle lunghe pause e riprese alla
fine del Cretacico per continuare fino a tutto il Miocene (26 – 7
milioni di anni fa).
In questa sequenza cartografica le terre emerse sono quelle colorate
in marrone. Si noti come il territorio montano che interessa il
nostro comune nell’ Eocene fosse già emerso.
Terre
emerse durante l’ Eocene medio, circa 50 milioni di anni fa.
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Terre
emerse durante l’Oligocene, circa 40 milioni di anni
fa.
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Terre
emerse durante il Miocene medio, circa 10
milioni di anni fa.
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Gli ultimi assestamenti del massiccio calcareo
di cui fanno parte i Monti Ausoni
si verificarono circa 2 milioni di anni fa, alla fine del
Pleistocene.
L’Italia
nel Miocene Superiore, circa 7 milioni di anni fa
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Massima
espansione del mare nel Pliocene,
circa 5 milioni di anni fa.
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L’Italia
ormai quasi delineata,
Pleistocene, 2 milioni di anni fa.
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Risalire oltre i 60 milioni di anni fa (epoca,
tutto sommato, geologicamente recente) diventa aleatorio, almeno
fino a quando non verranno riscontrate tracce più chiare e
consistenti in situ.
E tuttavia…. abbiamo la netta percezione che bisogna risalire
indietro nella scala del tempo per far quadrare alcune “anomale”
presenze riscontrabili sul nostro territorio.
Almeno al Cretacico inferiore – il che
ci porterebbe a 140 milioni di anni fa, e quindi a ridosso del
Giurassico – bisogna far risalire le formazioni dolomitiche del
Monte Sant’Angelo.(F. 1) Si spiegherebbero così le
notevoli differenze tra le rocce calcaree che si trovano alla base
del monte e quelle che si incontrano intorno a quota 200 metri.
Monte Leano. (F. 2)Se Monte Sant’Angelo
arriva soltanto a 227 metri di altitudine ed i
“recenti” calcari a rudiste si trovano a partire
dai 200 metri, il Monte Leano raggiunge
i 676 metri e gli
stessi calcari a rudiste si riscontrano a partire dai 420
metri sul livello del mare.
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La piattaforma carbonatica laziale-
abruzzese (P.
Bono ed altri, Al di là della preistoria) costituisce la materia prima che ha dato vita ai monti Lepini,
Ausoni, Aurunci, oltre ai Simbruini, Ernici ed ai massicci
abruzzesi del Gran Sasso e della Maiella.
Il notevole spessore della massa carbonatica
(2000 – 3000 metri) è rivelatore del lungo periodo
di accumulo. Terreni diversi, costituiti da marne, argille ed
arenarie sono stati deposti da acque ruscellanti o da
trasporto eolico.
La mancanza, finora di una ricerca approfondita e sistematica,
estesa a tutto il complesso, da una parte ci priva al momento
di conoscenze dettagliate, dall’altra ci fa intuire, per un
prossimo futuro, una serie di
sorprese che ci costringeranno a riscrivere la storia
geologica della zona.
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Dove sono i dinosauri? Questa non
dovrebbe essere stata terra per loro. Mi è sempre stato detto che
l’Italia è troppo recente per contenere fossili di quei rettili:
quando loro scomparvero l’Italia non c’era ancora……..
Ed allora come spiegare il recente ritrovamento presso una cava di
Sezze di orme di dinosauri? (cfr, Il Messaggero del 24 / 1 / 2004) (F.
3) Come si diceva prima, bisogna probabilmente spostare indietro le lancette
dell’orologio geologico per leggere meglio tutto il territorio.
60
Milioni di anni fa. Qui
almeno andiamo sul sicuro! Le rudiste sono dei Fossili guida ormai
universalmente accettati ed interpretati dal mondo scientifico,
tanto da fornirci certezze con la loro solida presenza su tutto il
complesso montano. Si esamini, ad esempio la breccia fossilifera
presente su Monte Sant’angelo, ad iniziare dall’ultima curva
panoramica prima del parcheggio. (F. 4).
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Le rudiste
erano
conchiglie composte da due valve asimmetriche: la valva
destra, a forma di cono, poteva raggiungere una decina di
centimetri, la sinistra, fungeva da coperchio.
La superficie esterna molto ruvida ha dato il nome al mollusco
che ora si trova solo allo stato fossile.
Nella brecce calcaree di cui sono entrate a far parte, si
possono riconoscere o la sezione circolare quando la frattura
è trasversale o quella conica in caso di frattura
longitudinale; raramente si trovano isolate dalla roccia che
le ingloba,
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Carta
geologica italiana, foglio 170. Dall’esame
di questa carta si possono individuare due tipi di rocce presenti
sul territorio: i calcari più antichi, del Cretacico Inferiore,
riportati in carta con il colore verde scuro, i calcari più recenti
del Cretacico Superiore, riportati in carta con il colore verde più
chiaro. (F. 5)
Tracciando un profilo da Monte Sant’Angelo a Fonte Santo Stefano,
si possono individuare le rocce più recenti (ove le rudiste sono
presenti) e sono quelli di colore verde più chiaro in cartina.
I terreni della Valle e
delle zone pedemontane (in cartina riportati con mattoncini di
colore marrone scuro) sono il prodotto di ossidazione e scioglimento
dei calcari ad opera dell’aria e delle acque. Il loro aspetto
rossiccio ed argilloso può confondersi a contatto dei terreni
alluvionali di colore nerastro, come ben si nota dalla foto ripresa
dall’alto di Monte Leano. (F. 6)
Le terre nere. Gran parte della Pianura
Pontina fu, in epoca storica, sommersa da acque palustri. Ancora
oggi quasi 16.000 ettari si trovano al disotto del livello del mare.
La bonifica integrale è storia contemporanea, ma il colore nero di
alcuni terreni, generato da canne ed erbe palustri marcite, insieme
a molluschi subfossili
stanno lì a testimoniare l’antica laguna. (F.
7)
Tracce
di antiche fiumane. Può
capitare, in occasione di scavi o della pulitura di un argine, di
imbattersi in una striscia continua di ciottoli. ‘E la traccia di
antichi corsi d’acqua che, in occasioni di piene eccezionali,
portarono a valle un ammasso di ciottoli, spesso di natura silicea,
proprio quelli cercati dall’uomo nell’età della pietra per
farne strumenti. (F.
8)
Isolotti
e dune pleistoceniche. Il
Pleistocene è il penultimo periodo geologico, quello che va da due
milioni d’anni a circa diecimila anni fa. Con esso comincia il
quaternario, l’era che riguarda l’uomo. I depositi di questi
periodo sono costituiti da
sabbie quarzifere di colore rossiccio o giallastro: le prime,
maggiormente ossidate, indicano che quei terreni erano occupati da
foresta, le seconde da savana.
La foto mostra un terrazzo pleistocenico sulle rive del lago di
Fondi. (F. 9)
L’isolotto
di San Martino. Altro
non ò che una duna pleistocenica in cui sono presenti sabbie rosse
e sabbie giallastre (a Terracina, i contadini questo tipo di terreno
lo chiamano “renazzòla” ed è quasi del tutto sterile).
Circa venti anni fa la zona è stata interessata da movimenti di
terra per costruire lo stadio comunale.
Sabbie giallastre sono a circa tre metri sotto l’attuale piano di
campagna. (F. 10)
Frequentazioni
preistoriche. Questa
duna antica, costantemente emersa negli ultimi centomila anni, ha
fornito tracce di frequentazione umana, riferibile almeno a cinque
periodi diversi che vanno dal Neanderthal all’epoca romana (cfr.
nel sito i capitoli dedicati alla preistoria). Qui sono presenti le
terre nere, quelle rosse e quelle giallognole. Il punto indicato,
tra terre rosse e nere, indica il livello in cui sono stati
rinvenuti manufatti ossidianici e frammenti ceramici antichi. (F.
11)
Profilo
dell’ex Palude Pontina, da
Colle della Guardia, in prossimità del confine con il Comune
di Sabaudia, attraverso Borgo Hermada, alla linea pedemontana in
prossimità delle pendici di monte Leano. Si notino: 1) I calcari
del Lias, riportati
in cartina con il colore azzurro. 2) I terreni pleistocenici
superficiali di colore ocra.
La
duna recente o Versiliana.
Da Anzio al Circeo, dal Circeo a Terracina e, da Terracina a Sperlonga
si estende un cordone dunale di sabbia giallo-grigiastra: è
formazione “recentissima”, risale “solo” a 10.000 anni fa.
Questa è la sabbia che costituisce la spiaggia del Lazio
meridionale (F.12)( nella carta geologica d’Italia è
riportata con il colore giallo chiaro).
L’ambiente dunale è
stato del tutto compromesso tra Terracina ed il Circeo. La zona si
chiamava una volta “Tumuliti”,
cioè zona dei tomboli, delle dune. Prima i vigneti, poi la
“piantagione”molto più invasiva delle villette-seconde-case ha
reso irriconoscibile il cordone delle dune. Grazie la Parco
Nazionale del Circeo, ancora sopravvive
qualche lembo di duna tra il Circeo e Fogliano. (F. 13)
Le
antiche linee di riva. Durante
il Pleistocene ci furono cinque glaciazioni. Naturalmente le ultime
sono le meglio conosciute. Tra la penultima, quella di Riss
e l’ultima, quella di Wurm,
ci fu un periodo caldo, interglaciale, in cui molti ghiacci si
sciolsero. Il livello del mare si alzò di circa 8 / 9 metri e
sommerse gran parte dei terreni costieri. Il Periodo si chiama “Tirreniano”
ed è datato tra i 120- ed 100 mila anni fa. Tracce di “solchi
di battigia fossili“
sono chiaramente riconoscibili in molti siti: all’interno della
Grotta delle Capre a San Felice Circeo, lungo le scogliere tra
Sperlonga e Gaeta, a Terracina, alle pendici di Pisco Montano, una
cinquantina di metri prima di entrare a Porta Napoletana.(F.
14)
Perforazioni di litodomi. Qui il mare tirreniano
ha battuto per migliaia d’anni provocando
questo solco che di trova 8 / 9 metri sopra il livello del mare
attuale. Lo testimoniano quei buchi delle dimensioni di un dito in
cui si annidavano i “litodomi”,
volgarmente
chiamati “datteri di mare”. (F.
15)
Ecco il responsabile delle perforazioni. La fragilità delle valve è
solo apparente. La capacità di secernere un liquido acido lo rende
capace di sciogliere il calcare nel punto in cui si impianta per
annidarvisi. In qualche foro è ancora possibile riconoscere i
mollusco allo stato fossile. Il suo nome scientifico è Pholas
dactylus.
Per altre notizie di natura geologica consultare altri capitoli di
questo sito, in particolare quelli riguardanti la preistoria o
quelli di carattere ambientale.
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