La coltivazione
tra le due guerre.
Le notizie di questo
capitolo sono estratte dalla relazione presentata nel Convegno
Nazionale di Frutticoltura tenutosi a Lugo nel Settembre 1927 dal
Dott. A. Zappi Recordati ( ed. Ravenna 1928). (F. 1)
Ampelografia
Il vitigno che sotto la denominazione
“Moscato di Terracina” è largamente coltivato nei dintorni
della città pontina non appartiene a varietà diversa, per
caratteristiche ampelografiche, dai vitigni coltivati sui Colli
Laziali ed Agro Romano e, tuttavia, l’uva prodotta a Terracina ha
caratteristiche di maggior pregio che la rendono adatta al commercio
e all’esportazione:
-
maggiore consistenza della polpa degli acini,
-
profumo più accentuato,
-
resistenza maggiore della buccia.
“Il Moscato di Terracina è varietà intermedia tra i moscatelli
da vino ed i moscatelloni meridionali, da cui probabilmente deriva
“.
Tralci – Abbastanza lunghi,
di color cannella, dolci al taglio, internodi di media lunghezza,
gemme piuttosto grosse.
Foglie – Grandezza superiore alla media, più
lunghe che larghe, nettamente trilobate, dentatura larga ed acuta,
nervatura sottile, pagina superiore glabra, verde carico; pagina
inferiore più chiara e quasi glabra; seno peziolare a V quasi
chiuso; picciolo mezzano, piuttosto lungo.
Grappolo – Seno serrato, di lunghezza variabile tra i 20
ed i 30 centimetri; acini rotondi, grossi, di colore giallo dorato
picchiettato di bruno, buccia resistente, polpa sciolta, sapore
dolce e profumato. (F. 2)
Germoglia e matura precocemente. La raccolta inizia nella prima
decade di Agosto e può protrarsi fino al 15 / 20 Settembre.
Prima che la coltura si estendesse, in seguito ai
riconosciuti pregi del consumo
come uva da tavola, veniva utilizzata per la vinificazione. Uso a
cui ora (stiamo parlando di quasi 80 anni fa!) vengono destinati
solo gli scarti e l’ultima raccolta prima delle piogge autunnali.
Inizio della coltivazione e zone dei
vigneti
La coltivazione del moscato può essere
fatta risalire a Terracina alla prima metà del 1600, limitatamente
a pochi ettari, altrimenti inutilizzati, e destinata alla produzione
del vino.
Man mano che vennero riconosciuti i pregi dell’uva per il consumo
diretto, la coltura si estese e, nella prima metà del secolo
scorso, raggiunse 1.400 ettari di vigneti in costante espansione.
Ben 600 ettari a vigneto si trovano nella Valle di San Silviano, su
terreni argillo-sabbiosi (F.
3), ma ancor più estesi sono i terreni sabbiosi coltivati a
ridosso della spiaggia di ponente, fino al Circeo, (F. 4) e
quelli sulla spiaggia di levante, fino al Lago di Fondi. (F. 5)
Oltre al moscato, i vigneti producono anche limitate quantità
di aleatico e cesanese, uve queste destinate alla vinificazione.
Raramente però vitigni diversi dal moscato arrivano ad occupare un
quinto della superficie destinata a vigna.
Natura del terreno e clima
Le uve da tavola di alta qualità
richiedono terreni magri, permeabili, ben esposti e ventilati, non
soggetti a brine tardive o a nebbie persistenti.
Si comprende perciò, come i terreni sciolti, sabbiosi, soleggiati
del litorale terracinese e quelli mediamente argillosi della Valle,
presentino a poca profondità un naturale grado di freschezza che
forniscono al moscato un ambiente ideale.
L’optimum ambientale si raggiunge
però grazie al clima che è temperato, mite, costante e, tuttavia,
ventilato per la presenza dei venti di libeccio e di scirocco.
Quando però, nelle immediate vicinanze della spiaggia, le viti sono
esposte a ventilazione eccessiva ed alla salsedine, si provvede a
ridurne gli effetti con siepi di erica e di canne palustri.
Impianto del vigneto
Questi erano i metodi seguiti
nell’impianto e nella conduzione dei vigneti, anche se l’uno e
l’altra sarebbero suscettibili di miglioramenti.
Scasso – Si pratica sull’intera superficie ad una
profondità variabile tra i 60 ed i 70 cm. Nella Valle si arriva
anche ad un metro di profondità. Si scassa il terreno con la vanga
con due o tre scalini successivi. Generalmente alla vanga si fa
precedere il lavoro con la zappa per liberare il terreno dalla
gramigna e dalle altre erbe infestanti. (F. 6)
Lo zappatore raccoglie le erbe infestanti,
il vangatore rovescia in fuori la terra del primo gradino ma lascia
sul fondo della trincea, che avanza ad ogni passata, quella del
gradino successivo. (F. 7)
Questo lavoro in genere si effettua
durante l’estate perché il terreno sia esposto agli agenti
atmosferici trasformatori e miglioratori.
Impianto – Vengono in genere usate talee franche della
lunghezza di 45 / 50 cm. ed infitte nel terreno scassato per una
profondità di 35 / 40 cm. senza che la parte interrata venga
privata delle gemme o torta per stimolare l’emissione di radici.
Restano scoperte solo due gemme. (F. 8)
La distanza tra vite e vite, sulla stessa
linea, varia tra i 60 ed i 70 cm. e quella tra i filari tra 1,50 e 2
m. Nella Valle la distanza può essere maggiore, data la maggiore
fertilità del terreno che rende più rigogliose le singole piante.
Si segnano i filari nella direzione voluta
e le talee si infiggono a distanza regolare. Il lavoro inizia, in
genere, a dicembre, ma deve essere, comunque, terminato entro marzo.
In questa fase non si esegue nessuna concimazione organica o
chimica.
Il terreno sembra naturalmente protetto
dalla fillossera (ahimè quanto errata si rivelò
questa previsione nell’immediato secondo dopoguerra!),
perciò solo pochi agricoltori lungimiranti utilizzano
portainnesti di legno americano: Riparia x rupestris 3309 nella
Valle, Rupestris du Lot e Riparia gloire de Montpelier, sugli
arenili. Tutte queste varietà vengono poi innestate a spacco
semplice, direttamente in situ.
In previsione delle possibili fallanze
vengono piantate alcune talee tra l’interfilare per supplire con
propaggine le piante che non hanno attecchito.
Gli impianti si potrebbero migliorare con
una buona concimazione preventiva e con una previdente diffusione
dei legni americani.
Coltivazione
Due
sono i sistemi della tenuta delle viti nei vigneti di Terracina, che
per quanto praticati in modo non ortodossi, possono essere
ricondotti al sistema Guyot”. Troppo spesso, in effetti, il
capo a frutto non viene ripiegato come dovrebbe. Tuttavia, non
mancano vigneti curati alla perfezione: secondo il “metodo
classico Guyot”.
Sistema a filare – Le viti sono sostenute da un’armatura
di pali e fili di ferro. Ogni filare è sostenuto da pali terminali
che fungono da capisaldi (passoni), di maggior lunghezza e
spessore rispetto ai paletti intermedi (passoncini) che
vengono posti alla distanza di 5 / 6 metri. Su questo ordito vengono
tesi, inchiodati con grappette, tre fili di ferro: il primo a 60 /
70 cm. dal suolo, il secondo ed il terzo a poco più di mezzo metro
più in alto.
Al secondo anno dall’impianto viene
messo un paletto di tamerice, erica o canna, legato con ampelodesma
(stramma) o giunchi palustri ai fili di ferro. Questi paletti
sono provvisori e vengono lasciati fino a che (nel terzo o quarto
anno) le viti non hanno raggiunto la forma voluta. ( F. 9)
Sistema a conocchia
– In questo caso un paletto di circa due metri si pianta vicino ad
ogni vite e, poi, vengono riuniti quattro a quattro e legati in
cima, come un castelletto. (
F. 10)
Pratiche
colturali:
Potatura – Agronomi
esperti criticano soprattutto la tendenza dei viticultori
terracinesi a potare lasciando più di un capo a frutto per ogni
tralcio. Pratica questa che aumenta la quantità del prodotto a
danno della qualità ed, inoltre, crea squilibrio tra la parte
radicale e parte aerea della vite. La tendenza, poi, a lasciare uno
o più tralci alla base del ceppo fa perdere longevità alla pianta
ed impedisce la disposizione ottimale dei tralci che, nel sistema a
filare e non in quello a conocchia può dare i risultati
migliori.
Propaggini - Il
ricorso a questa pratica dovrebbe essere eccezionale, invece vi si
ricorre troppo spesso per ovviare ai danni provocati da una potatura
troppo lunga che tende ad esaurire la vitalità della pianta. La
propaggine stessa, spesso, non viene affrancata nel primo anno, in
vista di una produzione immediata: si creano così le premesse per
un continuo ed estenuante lavoro di rimpiazzo.
Concimazione –
Raramente viene praticata nella fase di impianto ma solo,
quando lo si fa, ogni due o tre anni. Si utilizza stallatico
o il sovescio di favino e di lupino. Opportune analisi del terreno
potrebbero condurre all’immissione chimica di elementi mancanti.
Il concime organico viene distribuito spesso in modo irregolare
all’epoca della prima zappatura, invece di sotterrarlo più
correttamente nell’interfilare.
Lavorazione del terreno –
In genere vengono effettuate due zappature: una a marzo / aprile e
l’altra a giugno. Nei terreni infestati da erbe se ne pratica una
terza a luglio / agosto. Si cerca di non lavorare il terreno ad una
profondità eccessiva per non danneggiare le radici che tendono ad
affiorare.
Potatura verde – I
viticultori terracinesi sono molto solerti nella spollonatura (scraponatura),
ma tendono ad esagerare nella cimatura dei tralci che, invece di
essere tagliati dopo la terza foglia al di sopra dell’ultimo
grappolo, cimano dopo la prima foglia.
Quando il grappolo comincia a maturare si pratica la sfogliatura per
esporlo alla luce del sole e fargli acquistare un bel colore
dorato.
Vengono purtroppo trascurate le pratiche del diradamento e della
spuntatura dei grappoli, del tutto ignorata, poi, è la pratica
della fecondazione manuale che consiste nel praticare, nelle ore
calde, al grappolo in fiore una specie di mungitura che lo stringe
delicatamente nella mano con un movimento dall’alto verso il
basso.
Trattamenti –
Contro la peronospora si usa “l’acqua ramata” che altro
non è che poltiglia bordolese, piuttosto forte, in
percentuale del 2 %. Contro l’oidio si effettuano invece frequenti
solforazioni.
La raccolta –
Inizia in genere nella prima decade di agosto. I grappoli si
raccolgono con il fresco nelle ore mattutine, non appena si è
asciugata la rugiada. L’uva viene quindi imballata (incestratura),
dopo essere stata sottoposta a cernita da donne che eliminano da ogni
grappolo gli acini acerbi ed avariati. (F.
11)
Negli anni venti incominciò
l’esportazione del moscato sui mercati esteri, soprattutto
Germania, oltre che nelle città maggiori dell’Italia centrale e
settentrionale. La promozione e ricerca dei nuovi mercati fu
soprattutto operata dalla “Cooperativa Uva Moscato”. Divenne in
quegli anni di uso comune l’imballaggio in cassette di legno dolce
intrecciato, delle dimensioni di cm. 35 x 25 x 20, del peso lordo di
Kg. 11; oppure, in “gabbiette” a sezione trapezoidale di cm. 20
x 15, alla base, e cm 40 x 30, al bordo, circa cm.15 di altezza. La
capacità è la stessa dei contenitori precedenti.
Eccezionalmente con uva di qualità sceltissima si allestiscono trionfi
o trofei di canne intrecciate e decorati con tralci e carta
colorata.
Produzione e commercio
– La quantità totale della produzione superava nel 1926 i 100.000
quintali, di cui più dei ¾ moscato, per un valore di circa 15
milioni di lire del tempo.
La produzione annuale, media per ettaro
variava, a secondo delle stagioni, dai 40 ai 60 quintali, sugli
arenili, e dai 60 agli 80 quintali, nella Valle.
Tra i benemeriti dell’esportazione
Antonio Palombi veniva considerato un pioniere.
Quando il prodotto cominciò ad affermarsi
non poté sottrarsi all’azione di accaparratori, provenienti
soprattutto dal mercato all’ingrosso di Roma. Ciò fino a che, per
merito del Dott. Curzio Salvini, (F.
12) i viticultori di
Terracina non riuscirono ad organizzarsi nella “Cooperativa Uva
Moscato”. Il numero dei soci, i quintali esportati e le quotazioni
erano in quegli anni in continua crescita.
Anno |
n. soci. |
Q. esportati. |
Quotazione in £. |
Ricavo |
Estero |
1918 |
350 |
14.754 |
120 |
1.821.134,07 |
- |
1919 |
403 |
10.747 |
120 |
1.363.457,21 |
- |
1920 |
417 |
11.056 |
162 |
1.887.822,75 |
- |
1921 |
570 |
32.699 |
143 |
4.804.401,00 |
- |
1922 |
602 |
21.014 |
145 |
3.103.154,65 |
- |
1923 |
650 |
26.905 |
140 |
3.815.136,60 |
- |
1924 |
758 |
43.394 |
135 |
5.350.986,46 |
123.765,65 |
1925 |
815 |
62.120 |
200 |
12.410.416,75 |
3.106.574,00 |
1926 |
865 |
28.465 |
280 |
7.724.936.68 |
1.664.233,00 |
Funzionamento della Cooperatia Uva Moscato – Ogni produttore si obbligaa conferire alla Cooperativa l’intera
produzione destinata all’esportazione.
La cooperativa provvede alla confezione e
all’inoltro, per mezzo di carri ferroviari che partono ogni giorno
dalla stazione di Terracina, verso mercati nazionali ed esteri. (F.
13) (F. 14)
Alla fine di novembre, in base ai
prezzi spuntati settimanalmente sui mercati, una volta dedotte le
spese, vengono liquidati i produttori.
Era possibile, per i soci, ottenere un
anticipo, sulle partite di uva consegnate, fino ad un massimo di 2/3
del valore presunto. Era anche possibile, nel corso dell’anno,
ottenere piccoli prestiti, rimborsabili alla raccolta, per
provvedere all’acquisto di concimi, anticrittogamici,
pali, fil di ferro ed attrezzi di lavoro.
L’assistenza ai soci arrivò perfino a
fornire loro generi alimentari di prima necessità ed un servizio
medico-chirurgico.
Nel 1924 si tentò anche un esperimento
(non del tutto riuscito) di invio del moscato verso l’America.
Maggior successo ebbero invece le spedizioni verso i mercati di
Vienna, Monaco, Colonia e anche Polonia, Cecoslovacchia ed
Inghilterra.
L’opera di promozione avviene anche con
la partecipazione della cooperativa alle fiere ed alle mostre
internazionali di Roma (1921), di Francoforte (1928).
In questi anni, grazie al moscato, si
assiste all’innalzamento del tenore di vita dei Terracinesi, anche
questo spiega la particolare venerazione del popolo per San
Silviano, eletto a protettore dei vigneti, (F. 15) la cui
festa si celebra ancora il primo maggio nella chiesa a Lui dedicata
e che si trova in fondo alla Valle, alle pendici del Monte Leano. (F.
16)
Epilogo
Purtroppo, a guardare la situazione dai giorni nostri, l’uva
moscato ha perso quasi completamente il suo ruolo nell’economia
della città. Il colpo di grazia fu assestato a questa coltivazione
dalla fillossera che colpì tutti i vitigni nativi alla fine del
secondo conflitto mondiale. Nel giro di tre quattro anni la
produzione crollò ed i vigneti dovettero essere estirpati. Molti
contadini, con sacrifici eccezionali, spesso vendendo un ex vigneto
per reimpiantarne di nuovo un altro, ritornarono a scassare e
a piantare portainnesti americani (questa volta), ad
innestare….Furono anche tentate azioni di rilancio, con mostre e
sagre dell’uva (a partire dal ’49), ma ormai il glorioso destino
del moscato era segnato, l’economia si stava orientando
diversamente, marea di seconde case sugli arenili e colture in serra
nella Valle, relegarono a pochi terreni periferici una coltivazione
che non compensava più il sudore dei pochi pervicaci agricoltori in
via di estensione.
Ci piace qui citare, a completamento di quanto sopra esposto. un
interessante omaggio alla memoria di questo epilogo contenuto nella
recentissima pubblicazione dal titolo: La sagra del Moscato, Tip.
Pietricola, Terracina, Aprile 2004. (F. 17)
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