Il brigantaggio, si sa, ebbe due periodi di
esuberante fioritura tanto da acquistare una dimensione politica
oltre che sociale: in concomitanza con l’occupazione napoleonica e
in occasione dell’unità d’Italia. I briganti di questi due
periodi, sono pur sempre personaggi violenti ed in genere
truculenti, tuttavia il giudizio sul loro operato diventa meno
negativo, perché i governi reazionari tentano di metterli a loro
servizio.
Dunque:
- Il brigantaggio antifrancese (1799 – 1825) è ben visto, o
comunque giustificato benevolmente, dal governo borbonico spodestato
e dal Papato in esilio in Francia.
- Il brigantaggio antiunitario è, almeno all’inizio,
“sponsorizzato” e giustificato poi. Solo a cominciare dal 1865,
anche lo Stato Pontificio cerca di prendere le distanze dai briganti
di fronte al crescente sdegno dell’opinione pubblica europea.
Prima, durante, ed
anche dopo, questi due periodi esistono briganti e banditi le cui
motivazioni sociali ed individuali trovano scarsa o nulla copertura
politica e, forse proprio per questo risultano più “simpatici”
all’immaginario popolare.
Purtroppo la verità
storica dei singoli protagonisti risulta spesso deformata dai
resoconti ufficiali, dagli editti ed, infine, dai cantastorie.
Quest’ultimi, in modo particolare tendono a fare di ogni brigante
un assassino per amore, un truce vendicatore, una vittima dei
potenti. Così basta conoscere una storia per saperle tutte. Basta
conoscere una conclusione per conoscerle tutte: prigione, morte
violenta ed esposizione della testa appesa alla porta di una qualche
città.
Noi ci limiteremo a
qualche personaggio che ha scelto come teatro delle sue scorribande
i dintorni di Terracina. Città posta sul percorso del “grand
tour” e quindi nota per la sua posizione di confine e
per avere alle spalle un triangolo prediletto dai briganti
provenienti da Sonnino, Vallecorsa e Monte San Biagio.
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Giuseppe
Mastrilli ( Peppe per gli
amici e compaesani) è il brigante di Terracina di cui tutti
parlano, ma di cui si sa poco di preciso.
Si ignora perfino la data di nascita, pochissimi conoscono la
data della sua morte (settembre 1750).Oggetto di ballate e
racconti della tradizione orale che spesso hanno modificato,
interpolato, aggiunto particolari ed episodi tra cui è arduo
distinguere verità e fantasia. ‘E, in un certo senso
personaggio emblematico: più vero della realtà:capace di
interpretare timori e desideri di giustizia, ribellioni e
vendette che un popolo oppresso covava nell’intimo suo. |
Mastrilli nella toponomastica. Secondo
la tradizione, come si conveniva ad un brigante che si rispetti, la
sua testa fu esposta, a Porta Albina (o Porta Levina, o Porta
Lavinia), porta ora distrutta (F. 1), sita nei pressi di
Piazza Santa Domitilla, dove ora si trovano i due leoni funerari (i cavajuccie),
essa alla fine del ‘700, fu chiamata dal popolo Porta Mastrilli
e Via Mastrilli la strada dal lì alla Piazza.
La casa di
Mastrilli. ‘E ancora la
tradizione a dare questo nome ad una casupola ormai diroccata che si
trova sulla rupe del Pisco Montano, a circa 40 metri di altezza.
‘E falso, naturalmente: quelle sono le rovine di un posto di
avvistamento delle guardie pontificie, ma nel popolo la memoria
della frontiera tra Regno di Napoli e Stato Pontificio è
cancellata, quella del brigante è ancora viva.
(F. 2)
Il delitto
d’onore. La storia del
brigante inizia come tante altre ( Fra’ Diavolo, Gasbarrone …).
‘E un giovane di buona famiglia e si innamora di una ragazza
bellissima, pare si chiamasse Elisa della Rocca. C’è però un
rivale che non vuol farsi indietro. La cosa finisce a coltellate e
Mastrilli si da alla fuga. (F. 3)
Trecento scudi di
taglia fanno gola a molti e
Mastrilli, fuggito nel Regno di Napoli, dopo aver ucciso alcune
guardie papaline, viene tradito da un pescatore di Gaeta e finisce
nelle galere napoletane. Graziato dalla regina, torna libero e si
vendica trucemente del pescatore. Per un colpo di fortuna incontra
il Governatore delle galere di Napoli e gli estorce 3000 scudi in
cambio della vita. (F. 4)
I libri di
pellicceria. Così venivano
chiamati gli opuscoli che costituivano la biblioteca dei pastori.
Compratori di pellami e pellicciai si aggiravano per i monti e la
Campagna Romana; spesso vendevano,o davano in omaggio, ai pastori
opuscoli con storie popolaresche di cavalieri, santi, eroi e
briganti. A questa “letteratura” appartengono anche le ballate
in ottava rima che parlano di Mastrilli. Chi ne ha voglia può
leggersene una cliccando la: Ballata
del brigante Mastrilli
Numerose
sono le incongruenze che si trovano nella ballata di cui
sopra: la presenza di figli (da quale madre ed in quale
occasione Mastrilli li avrebbe avuti?), il numero dei soldati
uccisi ecc. Riveste una certa curiosità il fatto che i
racconti diffusi nello Stato della Chiesa parlano sempre di
conversione finale, quelli fuori Stato Pontificio di morte
senza pentimento e dannazione.
Durante le fiere, chi assisteva agli
spettacoli dei cantastorie, aiutati da una serie di quadri,
poteva poi acquistare fogli volanti, come quello
a lato.
Stampa, grammatica ed ortografia lasciano spesso molto a
desiderare. |
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Il ruolo della religione
è fondamentale in tutte le storie di brigantaggio e non solo
all’interno dello Stato Pontificio, dove potere spirituale e
temporale spesso si
confondono, ma anche per i rapporti di coscienza dei singoli
briganti con il divino. In questo caso però è pressoché
impossibile distinguere pentimento sincero da ipocrita adesione,
comoda amnistia da rinuncia alla violenza. ( F. 5)
Il brigantaggio
antifrancese, 1799 – 1827, ha
una parziale giustificazione politica. La coscrizione obbligatoria
voluta dai Francesi nel 1806, in quattro anni portò a 30 mila il
numero dei banditi alla macchia nell’Italia meridionale. Ma non
tutti erano poveri diavoli disertori, tra loro c’erano ladri,
assassini e grassatori.
Quando, dopo la caduta di Napoleone, Pio VII tornò a Roma,
prevalse la linea morbida nei confronti dei briganti, quasi fossero
tutti patrioti, con qualche delitto sulle spalle, ma comunque fedeli
al papa in esilio, e venne concesso il perdono a chi si fosse
consegnato. Tra questi si trovava anche Antonio Gasbarroni (F. 6)
Un altro brigante
per amore! Ci risiamo! Anche
Gasbarrone inizia la carriera con un delitto passionale ma, a
differenza di Mastrilli, uccide il fratello della donna amata e si
da alla macchia (F. 7). ‘E probabile che il fratello della
donna avesse tutti i motivi per opporsi, conoscendo la famiglia
dell’aspirante cognato.
Un rifugio sicuro
tra i pastori. Sui monti Ausoni,
nel triangolo che ha i vertici in Sonnino – Vallecorsa –
Monticelli operavano già numerosi briganti: Rita, Tambucci e anche
un fratello di Antonio, Gennaro Gasbarrone. Fu naturale perciò che
la nuova recluta li raggiungesse nei loro covi. (F. 8, litografia
di B. Pinelli)
La doppia resa di
Antonio Gasbarroni. Nel 1814,
al ritorno di Pio VII, si sperò di porre fine al brigantaggio con
una grande amnistia ed un perdono: Antonio Gasbarroni si arrese, girò
per qualche prigione pontificia poi, tornò libero a casa.
L’attrazione per il brigantaggio lo riportò sui monti, ai
sequestri e agli stupri. Ma, di nuovo sperò di farla franca
arrendendosi al Vicario Pellegrini che gli dava la sua parola e gli
mostrava un falso editto: era il19 Settembre 1825 (F. 9).
Sonnino
“brigantopoli” del Lazio. (F. 10, acquarello di E. Lean, 1841)
L’ambiente che circondava i briganti era il meno adatto al
ravvedimento.
Gasbarroni restò in carcere per 47 anni a Civitacastellana. Fu
liberato, ormai quasi ebete, dal governo del Regno d’Italia e passò
gli ultimi anni facendo la calza in una casetta di Trastevere.
L’intero paese di Sonnino sembrava irrecuperabile,
tanto che il Cardinale Consalvi ne aveva decretato la
distruzione dalle fondamenta già nel 1819. L’abbattimento
dell’intero abitato fu interrotto grazie all’intercessione di
San Gaspare del Bufalo.
Il
sequestro dei collegiali di Terracina.
La sera del 23 gennaio 1821 accadde un fatto destinato a togliere
ogni speranza di redenzione del gruppo di irriducibili capitanati
dal brigante vallecorsano Alessandro Massaroni. Fino a due
mesi prima c’era stata speranza: alcuni componenti della banda
erano stati ospitati da Don Luigi Locatelli nel monastero di San
Francesco (F.11)
per
una sorta di esercizi spirituali e dopo lunghe trattative avevano
solennemente deposto le armi.
I
briganti fecero prigionieri 24 ostaggi e
si allontanarono verso la montagna. Lungo la Strada del Cimitero
uccisero il vice rettore ed un malcapitato carabiniere pontificio di
ritorno da una perlustrazione.
Cominciarono così le consuete trattative con gli ostaggi in mano
dei briganti. Una storia che rassomiglia a tante altre illustrate da
Bartolomeo Pinelli. (F.
12)
Chi vuol leggere i dettagli, clicchi: Il
rapimento dei collegiali di Terracina.
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Alessandro
Massaroni, nasce il 29 ott. 1790 a Vallecorsa, entra a
24 anni nella banda di Pasquale Tambucci, detto “il
Matto”, sfrutta l’amnistia del 1814 per tornare a
Vallecorsa e sposare Matilde Zomparelli.
Si ridà alla macchia mettendosi in proprio, pur facendo
temporanee alleanze con altre bande, compresa quella dei
Gasbarrone.
Ma è il più irriducibile dei briganti, vuol vendere a caro
prezzo la sua resa e vorrebbe perdono completo e posto fisso
tra le Guardie Pontificie o del Regno di Napoli. Muore
ammazzato il 19 giugno 1821 a Monticelli. |
Quasi
10. 000 scudi e non bastarono. Negli
otto di giorni di estenuanti trattative che seguirono il rapimento,
parenti, clero, cittadini solidali e, sebbene non ufficialmente, lo
stesso lo stesso erario pubblico s’erano dissanguati. Tuttavia
quando, il giorno 31 gennaio, presso Valle Viola (
F. 13),
sopra Monticelli, gli intermediari recano le ultime somme, sotto i
loro occhi due collegiali vengono scannati perché viene notato un
movimento della truppa napoletana. (F.
14)
Il
brigante fa fortuna, anche se di breve durata. In quello stesso anno a
Napoli era stata concessa la costituzione e subito tolta sotto la
pressione dell’Austria.
Quello che Massaroni non aveva ottenuto dallo Stato Pontificio (il
posto fisso nelle forze di polizia) lo ottiene dal generale
Carrascosa del Regno di Napoli. Il generale, che il brigante
incontra a Fondi, (F. 15) crea un Corpo Franco che deve disturbare la
retroguardia austriaca e catturare i disertori dell’esercito
napoletano.
Massaroni,
comandante del Corpo Franco, si
insedia a Monticelli (oggi Monte San Biagio) con pieni poteri:
amministra (si fa per dire) la giustizia, consegna qualche brigante
concorrente, ma si tiene i suoi: è diventato una persona che esige
rispetto. E però molto malato per i postumi di una vecchia ferita
al ventre e finge di non accorgersi che la sua fine è vicina. Gli
eventi politici stanno cambiando: lo scandalo è troppo grande. Il
Papa reclama giustizia e le truppe Austriache insieme alle truppe
pontificie l’otterranno, finalmente.
Il 19 giugno 1821 i soldati austriaci e pontifici assediano
Monticelli e Massaroni viene colpito a morte; i pochi fedelissimi
catturati o uccisi. (F.
16 B.
Pinelli)
Ancora
3.000 scudi. Il corpo del brigante moribondo viene esposto a Fondi
su di un catafalco in Piazza San Pietro. Tra il ludibrio del popolo (
F. 17 ) avviene
il riconoscimento. Più tardi si provvederà a reclamare la taglia
di 3.000 dallo Stato Pontificio. Le casse di Terracina sono vuote ed
il macabro trofeo viene portato a Frosinone per riscuotere il
dovuto. Anche da morto Massarone spillava soldi!
L’illustratore B.
Pinelli dedicò un gran numero di tavole ai Briganti, tra cui
molte a Massaroni per documentare la loro vita. (da F. 18 , 19, 20)
Bartolomeo
Varrone, ”Meo” per gli amici, era figlio di una numerosa
famiglia di vaccari di Vallecorsa che, per non sottostare alla
soccida imposta dai proprietari dei pascoli, si erano spinti verso
le montagne di Santo Stefano in comune di Terracina (cfr. sentiero
A, in tre antichi sentieri).
La zona era battuta da briganti ed egli, nato nel 1793, aveva finito
per entrare prima nella banda Tambucci, poi in quella di Gasbarrone
ed infine in quella del compaesano Massarone. Anzi quest’ultimo
gli aveva fatto da padrino quando, quando nel 1915 si era cresimato,
addirittura dopo il matrimonio avvenuto l’anno prima con Maria
Iannace.
L’Amnistia
del 1814, era stato un vero e proprio perdono e quindi lui ne
aveva approfittato per consegnarsi per ritornare libero, di lì a
poco a Vallecorsa dove si era sposato e forse aveva anche
l’intenzione di starsene quieto a Santo Stefano a guardare le sue
vacche.
Purtroppo il carattere impulsivo e i continui contatti con i banditi
lo riportarono nel giro. Poco prima del sequestro dei collegiali
approfittò una seconda volta di una nuova amnistia e, dopo la morte
del capobanda Massaroni fu addirittura rinviato a Vallecorsa perché
si mettesse a disposizione delle forze di repressione del
brigantaggio.
Egli voleva salvare la pelle, ma come sfuggire ai superstiti della
vecchia banda del suo padrino guidata dal compaesano Pasquale Di
Girolamo? Cercò a lungo di fare il doppio giuoco ma questo non
poteva durare a lungo. Il paese era invaso dai missionari di San
Gaspare del Bufalo che tentavano di evangelizzare la gente, ma
troppi erano i pericoli appena fuori del paese. Nel 1823 una serie
di fortunate operazioni indussero a pensare che il brigantaggio sui
Monti Ausoni fosse definitivamente stroncato.
Vendette
personali e regolamenti di conti. Troppi
erano i conti rimasti in sospeso, troppo grandi i risentimenti ed i
desideri di vendetta di chi s’era, a torto o a ragione, sentito
tradito. Meo entra in carcere a Terracina nel 28, ma non ci sono
indizi gravi contro di lui e viene rilasciato di nuovo meno di due
anni dopo. In tutto questo andirivieni dalle galere, però, Meo non
perde tempo ed i risultati si vedono dalla moglie che nel dicembre
del ‘32 mise al mondo il nono figlio (un decimo lo avrà meno di
un anno dopo, quando il marito era ormai morto.
Assassino
rimasto sconosciuto. Nell’estate
del 1833 Varrone tornava da Santo Stefano a Vallecorsa in compagnia
del figlio Michele, diciassettenne, a metà strada, dove il sentiero
curva a gomito, dalla macchia parte una schioppettata e Bartolomeo e
ferito a morte. Ha ancora il tempo di irridere lo sconosciuto
sparatore per la sua imperizia nel caricare il colpo che pure avrà
ilsuo esito mortale qualche giorno dopo.
Data
sbagliata. In quel punto che si presta magnificamente per un
agguato oggi c’è una lapide che ricorda l’evento. ‘E strano
che le parole proferite al momento del ferimento siano riportate con
maggior precisione dell’anno in cui avvenne il fatto di sangue. La
lapide riporta l’anno 1835 invece del 1835. (F.
21)
Il
Brigantaggio antiunitario. Dopo
la spedizione garibaldina e la presa di Gaeta, Nel 1861 Francesco II
è Fuggito a Roma e spera con l’aiuto del Papa, di ritornare in
possesso del suo regno. Le montagne son piene di renitenti alla leva
del Regno d’Italia.
Si professano fedeli ai Borboni ed alla Chiesa. I sovrani legittimi
o si illudono o fingono di crederci. Gli avventurieri e i
malfattori comuni troppo
numerosi tra le file dei sedicenti legittimisti ben presto faranno
cadere ogni illusione: sarà questa l’ultima vampata del
brigantaggio.
Ancora due episodi hanno come teatro Terracina e Monte San Biagio.
Tra
l’Epitaffio e Portella si
apre Valle Marina, la famigerata Terra di Nessuno.
Tra il 6 novembre 1860 ed il 14 settembre 1870, questo lembo di
terra era privo di giurisdizione e, quindi, comodo e sicuro rifugio
dei nuovi briganti.
Spesso fucilazioni dimostrative si tenevano presso la Torre
dell’Epitaffio (
F. 22).
Lì si affiggevano editti e sentenze, ma l’Appia non era affatto
sicura.
Era
il 16 ottobre del 1861, verso
mezzanotte la carrozza di posta proveniente da Roma tra una mezzora
avrebbe raggiunto Fondi. Aveva appena oltrepassato l’Epitaffio
quando fu bloccata dalla banda del brigante fondano Giuseppe Conte.
I passeggeri furono spogliati dei loro averi e fatti proseguire, però
tre furono costretti a scendere. Si trattava del canonico Carlo
Bianchi e di Gaetano Loffredo di Terracina e del Ricevitore
dell’Ufficio del Registro di Fondi, Eliseo Altieri.
900
Ducati di riscatto furono pagati dalle famiglie, ma inutilmente.
L’ingente somma non valse ad evitare agli ostaggi orribili
sevizie. Furono anche, in modo beffardo, rilasciati, ma subito dopo
ripresi e decapitati. Le teste esposte su un muretto lungo l’Appia
tenevano fermo un foglio con questa scritta:
UCCISI PERCHE NEMICI
DELLA RELIGIONE E DEL
LEGITTIMO RE
Il
riferimento alla religione, che
i briganti dicono di voler difendere, tagliando la testa anche
ad un canonico, può apparirci quantomeno disinvolto.
Lo strano tipo di devozione dei briganti viene ironicamente
commentato da un osservatore straniero,
J. H. de Santo Domingo (autore tra l’altro di 79 stampe di
cui ne riportiamo qui sotto una pertinente al commento): - La
differenza tra i briganti romani e quelli napoletani è che i primi
rispettano a modo loro la religione e i suoi sacramenti, i secondi
pregano Dio non di perdonarli per le loro rapine od uccisioni, ma di
secondarli, anzi di propiziarli alle proprie avventure;
“gesuiti” i primi, “giansenisti” i secondi. (!!!)
Luigi
Alonzi detto Chiavone. (F. 23) ‘E
una complessa figura di “Brigante legittimista”, Guardaboschi di
Sora, operò a capo di una banda che arrivò a contare centinaia di
uomini, operò in Terra di Lavoro e un po’ al di qua ed un po’
al di là del confine pontificio. Nel 1861 occupò Monticelli. Si
professa fedele a “Francischiello” ed alla Santa Sede da cui
cerca di spillare più quattrini possibile, ma continua a
comportarsi come un brigante.
Speranze
deluse. All’inizio, Borboni e Papa gli danno credito. Lui
si fa chiamare generale e si veste con fantasiose divise. Roma invia
presso di lui il Comandante Generale degli Abbruzzi, Tristany per
organizzare la resistenza antipiemontese, ma ben presto questi
scopre di aver a che fare con un millantatore, stupido e
sanguinario, e Roma decide di liberarsene nell’unica maniera
possibile. L’anno successivo
Chiavone viene catturato nella piana di Veroli e fucilato.
La
Convenzione di Cassino. Ancora
una volta la Chiesa si accorge quanto poco c’è da fidarsi dei
briganti. L’opinione pubblica europea è scandalizzata, tanto che
si cerca di correre ai ripari. Il 24 febbraio del 1867, a Cassino,
viene firmata una convenzione per la lotta comune al brigantaggio
dal generale italiano Lodovico Fontana e dal comandante delle truppe
papali Conte Leopoldo Lauri.
“I
Zampitti”, Squadriglieri del Papa. Quello
stesso Conte Lauri era diventato noto in Campagna e Marittima per
aver fondato un corpo armato di repressione antibrigantesca. Aveva
raccolto giovani incensurati, agili e buoni conoscitori delle
montagne, li aveva presi dagli stessi paesi di origine dei briganti,
gli aveva dato uno stipendio ed una divisa sgargiante. L’unica
cosa che non era stato capace di far loro dismettere furono le ciocia
ai piedi. Questo corpo irregolare, che arrivò a contare 1473 uomini
nel ’70, si rivelò decisivo nell’estirpare la piaga del
brigantaggio dallo Stato Pontificio prima ancora che entrasse a far
parte del Regno d’Italia. (F. 24)
N.
B. Ecco qui spiegata l’origine della parola Zampitti,
usata dai Terracinesi in senso denigratorio nei confronti dei Vallecorsani
e da questi considerata come un’ingiuria. Nella parola che, per
altro, in dialetto vallecorsano significa “grilli”,
è insita l’idea di agilità, destrezza,
conoscenza dei luoghi e tanta fierezza, ancor più che nella parola
“squadriglieri”. Ma tanto può la non conoscenza dell’origine
delle parole che si usano!
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