Sulla via del grand tour

 

 

Arculfo e San Willibaldo. Terracina è documentata come un punto di partenza o come tappa in cui far scalo nelle relazioni dei primi pellegrini che, cabotando lungo le coste tirreniche, erano diretti in Terrasanta.

Primi tra tutti il vescovo franco Arculfo, nel 670, e San Willibaldo, nel 723 /726.Essi, provenienti  dall’Europa del nord, raggiunsero Gerusalemme imbarcandosi a Terracina e toccando in tappe successive la Sicilia, Creta e Cipro.

Arculfo fu il primo viaggiatore-pellegrino, in assoluto, che, dopo l’affermazione dell’Islam, raggiunse la Terrasanta. La relazione del suo viaggio fu trascritta dall’abate Adamnano nel “Libellus de locis sanctis”. Il libello di Arculfo divenne la prima guida di viaggio ai Luoghi santi, utilizzata da San Willibaldo e da molti altri viaggiatori successivi.

‘E verosimile credere che la scelta del viaggio per via mare, lungo le coste tirreniche, fosse dettata non tanto da ragioni di sicurezza o dalla difficoltà di ottenere permessi di transito, quanto dal desiderio di toccare santuari allora di grande reputazione (san Severino a Napoli, sant’Agata a Catania…). Tanto e vero che al ritorno l’uno e l’altro attraversarono i territori longobardi e, una volta a Capua raggiunsero Roma per la via Latina, dopo aver visitato Montecassino.

D’altra parte, ”dopo la vittoria sui bizantini nel 650, i duchi di Benevento Grimoaldo I (647 – 671) e Romualdo I (662 . 667), con l’appoggio del vescovo di Benevento Barbato, tra le iniziative legate alla promozione del culto micaelico, come la sua diffusione nella Longobardia maior e il finanziamento di opere di ristrutturazione, resero più sicure le strade percorse dai pellegrini in prevaleza di area longobarda di diversificata estrazione sociale, dal popolano ai massimi rappresentanti della dinastia longobarda: Grimoaldo, Romualdo I, Romualdo II, Pertarito, Cuniperto, Ansa, Atalperga. Ma non mancano tracce di pellegrini d’Oltralpe, tra cui alcuni Anglosassoni attestati dalle iscrizioni runiche nella grotta dell’Arcangelo. (Pietro Dalena, 2003 – Mastrelli – Arcamon, 1861 – Carletti ed Altri).

Non è quindi azzardato affermare che la dedica del cosiddetto “Tempietto” su Monte Sant’Angelo ed il suo adattamento di parte del complesso monumentale del tempio di Giove a monastero di culto micaelico debbano essere fatti risalire al diffondersi del flusso peregrinante proveniente dal nord e diretto al sud.

 

San Elia il Giovane. Non va dimenticato un altro flusso di pellegrini che, ad iniziare dal VII sec.,  da Bisanzio si dirigevano a Roma. In genere questi viaggiatori sceglievano la via marittima, almeno per arrivare a Terracina e da qui  ad limina apostolorum seguendo l’antica via Appia e, per il tratto sommerso dalle paludi pontine, l’ancora più antico percorso pedemontano.

Una conferma la troviamo nella vita di San Elia il Giovane (o da Enna), vissuto tra la fine del IX e l’inizio del X secolo.

La sua vita fu un pellegrinaggio continuo: Era stato in Terrasanta e sul monte Sinai, poi, sulla via del ritorno aveva fatto scalo a Corfù prima di approdare in Calabria a Pentadattilo.

Il santo era accompagnato da un altro monaco che divenne il suo agiografo, Questi racconta come, ormai alla fine del lungo pellegrinaggio, a San Elia in preghiera apparvero in visione san Pietro e san Paolo i quali gli ordinarono di proseguire per Roma.

E così. I due monaci: “Al canto del gallo si imbarcano e proseguono per Roma”. Per l’occasione l’agiografo precisa che: “ la distanza da Taormina a Roma è di 20 giorni di viaggio” , questo era infatti il tempo richiesto da una navigazione di cabotaggio dallo Stretto fino a Terracina e dal successivo itinerario via terra fino alla sede pontificia.

Lo stesso itinerario di San Elia fu anche percorso da San Gregorio Decapolita  e, qualche secolo più tardi, da Oreste, patriarca di Gerusalemme /cfr. F: Burgarella, Il pellegrinaggio nel mondo bizantino, 2003).