Sulla via del grand tour

 

La letteratura odeporica è quella che si interessa di viaggi, li descrive con relazioni, diari e guide di viaggio.
In questo tipo di produzione, spesso corredata da un ricco apparato iconografico, prodotto da cartografi e vedutisti, Terracina occupa un posto privilegiato per la sua posizione strategica e per il fascino paesaggistico e storico esercitato su viaggiatori di ogni tempo: da Orazio ai pellegrini medioevali, dagli eruditi che intraprendevano il “Grand Tour” in Italia ai moderni turisti organizzati.

Durante il medioevo il viaggio era soprattutto finalizzato al raggiungimento di particolari luoghi di culto: Roma o Gerusalemme, San Jago de Compostela o San Michele sul Gargano.
I viaggiatori sono spesso pellegrini inermi, ma non sprovveduti, e talvolta  addirittura Crociati armati, in viaggio di andata o di ritorno dalla Terra Santa.
Solo raramente relazioni di viaggio, redatte da loro stessi o da agiografi del tempo, ci hanno lasciato tracce del passaggio per Terracina: tutte però ben lontane dalla ricchezza di particolari che troviamo nella V Satira di Orazio, in viaggio da Roma verso Brindisi. Citiamo solo alcuni illustri viaggiatori e, chi vuole saperne di più, può lincare il loro nome qui di seguito:

Arculfo e San Willibaldo

Riccardo Cuor di Leone

Santa Brigida di Svezia

Pietro della Valle detto il Pellegrino

Il viaggio come itinerario di scoperta e conoscenza, avventura fisica e spirituale, ha inizio verso la fine del 1500 quando si diffuse tra le classi aristocratiche e colte l’amore e la ricerca delle testimonianze dell’antichità, il gusto della scoperta di paesaggi e di costumi diversi. Finalità che oggi si riconoscono al cosiddetto “turismo intelligente”. 
Un prezioso volume: L’arrivo nel Regno di Napoli di Lucio Fini, edito da Grimaldi & C. Napoli 2006,  (
F 1 ) viene ad arricchire, con notizie ed illustrazioni spesso inedite, le testimonianze già notevoli, ma ancora quasi inesauribili, su questo argomento. Da esso abbiamo attinto, nel compilare questo paragrafo, molti suggerimenti soprattutto riguardanti Terracina. Alla fine del 1500 datano le prime testimonianze iconografiche di Terracina e del territorio circostante.

Prima fra tutte, l’acquaforte del pittore ed umanista fiammingo Georg Hoefnagel. (Anversa 1542 – 1600). Nel 1578 egli fece, insieme al geografo Ortelius (Abraham Oertel), il viaggio da Roma a Napoli. La veduta di Terracina ( F 2 acquaforte di F, Hogenberg ) del 1578 servì da base per l’incisione pubblicata a Colonia nell’opera in 6 volumi dal titolo: “Civitates orbis terrarum” , pubblicazione questa che ebbe una grande diffusione in Europa ed un grande merito promozionale per la moda del “Grand Tour” che stava nascendo.

Dopo il successo di questa prima raccolta di immagini, esce a Venezia nel 1699, in previsione dell’imminente giubileo del 1600, la raccolta dal titolo: “Theatrum Urbium Italicarum Collectore Pietro Bertellio” che deve aver avuto anch’essa un successo notevole, tanto che fu seguita da due ristampe (Vicenza 1616, Padova 1629). ( F 3, incisione di Anonimo )
A commento dell’incisione di Terracina leggiamo:
“è piccola ma assai onorevole, & piena di popolo; hà fertile & dilettevole territorio, ornato di vigne, naranzi e limoni e d’altri simili frutti”

Nel 1729 Charles de Secondat, barone di Montesquieu, passa per Terracina: i resti antichi non gli interessano, fatta eccezione, in accordo con lo spirito illuminista, la più razionale delle opere Romane, la Via Appia, per altro piuttosto malandata all’epoca. Descrive la nostra città in modo abbastanza  impietoso:
         
“ Anche Terracina è una città di 2 o 3.000 abitanti, desolata quanto le città papali che abbiamo visto. Gli abitanti sono tutti pallidi, e le donne brutte a causa della malaria. … Terracina è sul mare. Ho visto alcune miserabili imbarcazioni napoletane, i sudditi del Papa non posseggono nemmeno una barca, perché la Chiesa che ha tutto,  non si interessa per averne.”

Nel
primo ‘700 abbiamo notizia di altri viaggiatori stranieri illustri, tra cui il magistrato francese Charles de Brosse che rileva curiosità di viaggio e, anche sulle antichità, non è mai ripetitivo. Sull’Appia Antica annota:
…. Nei pressi di Terracina finiva contro una roccia chiamata “ Pisca Marina”, bagnata dal mare. Per proseguire la strada, la roccia è stata tagliata per una larghezza un po’ più grande di un cammino normale, e di un’altezza perpendicolare di centoventi piedi; a quanto almeno si può giudicare dalle cifre incise di tanto in tanto sulle pietre, poiché senza difficoltà immaginerete che non mi sono caricato l’onere di misurarle….”
Gli incisori di immagini sono, invece ripetitivi e continuano, con poche varianti ad ispirarsi all’acquaforte di Hoefnagel così come accade per la tavola di Terracina, autore V. Coronelli, inserita nel Regno di Napoli.(
F 4, acquaforte).

 

Bisogna attendere il 1734 per trovare nelle rappresentazioni di Terracina qualche particolare nuovo, non rilevato prima, come nell’acquaforte di F. B. Werner quando, durante il vicereame  austriaco di Carlo III, Napoli fu meta di vedutisti di scuola tedesca. La stampa del Werner ( F 5, acquaforte ), come rileva il Fini, conferisce a Terracina “un’atmosfera da città orientale, quasi fiabesca”. Peccato che le didascalie, a sinistra in latino, a destra in tedesco, riportano solo notizie già ampiamente conosciute.


Nella primavera del 1770, W. A. Mozart  appena quattordicenne, accompagnato dal padre Leopold, si reca da Roma a Napoli dove arrivò il 14 Maggio. La carrozza è occupata, oltre che dai due Mozart, da due abati. Al piccolo genio resta di quel viaggio il ricordo dell’indolenzimento dell’ Appia infinita ed il chiacchiericcio cachinnante di uno dei preti. Sensazioni queste espresse da Mozart in una lettera da Napoli alla sorella Nannerl. Nell’attraversare la Palude Pontina, ubbidendo alle raccomandazioni dell’epoca, la carrozza aveva tirato dritto ed i viaggiatori erano stati attenti a non addormentarsi per non cadere preda della malaria.

Nella seconda metà del ‘700, il traffico sull’Appia, ed attraverso la nostra città, diventa sempre più intenso, tanto per fare qualche nome di personaggi noti: l’astronomo francese Lalande (1776), Donatieu marchese De Sade (nel 1772 e nel 1776), l’Inglese H. Swinburne (1776), lo scrittore e medico scozzese John Moore, che accompagnava, tra il 1772 ed 1776 Douglas, Duca di Hamilton in viaggio di istruzione, ed infine, il più noto di tutti, il grande poeta tedesco, Wolfgabng Goethe (1787).

Prima di Wolfgang aveva già percorso le vie del Grand Tour suo padre J. Caspar Goethe nel 1740; nei suoi appunti di viaggio scritti in italiano, quando parla di Terracina, ne rileva la sporcizia e la povertà, d’altra parte erano quelli  gli anni che precedevano sia i lavori seguiti alla visita di Monsignor  de’ Buoi, e, soprattutto,  la grande bonifica di Pio VI        “Tra Terracina e Fondi c’è una bella foresta di lauri e una porta aperta in un vecchio muro detto porticillo, che segna il confine tra lo Stato Pontificio e i territori napoletani…”  Così annota il 27 marzo 1752 l’inglese John Northal. Il porticillo” non può essere altro che “Portella”  la quale non deve essere molto cambiata  fino a quando, 91 anni dopo,  la raffigura L. Rossini.
(
F. 6 disegno ed incisione )
 

Nel 1778 quattro aristocratici olandesi ( W.C. Dierkens, W.H. Nieuwerkerke, N. Ten Hove, N. Thornbury) assoldarono come disegnatore l’ancora poco noto artista svizzero Louis Ducros, affinchè illustrasse i punti salienti del tour. I’11 di Aprile toccarono Terracina e poi, con un viaggio di quattro mesi: Napoli, la Sicilia, Malta, la Puglia, ancora Napoli  e poi di nuovo Terracina nel mese di Agosto. Nei diari di viaggio e nelle lettere scritte a casa pressoché nulli sono i riferimenti alla nostra città dei viaggiatori Olandesi. Ben sette invece gli acquarelli ed i disegni del Ducros riferiti a Terracina, di questa serie, al momento, sono riuscito a reperirne soltanto uno. ( F 7, acquarello: Halte avant d’arriver à Terracina )

L’esperienza di quattro mesi di Ducros, da “Tourista”, come egli stesso dice, fu determinante per la maturazione artistica e per il suo successo di vedutista. Ma nella nostra città tornò anche al seguito di Pio VI di cui ritrae la visita alle paludi nella ben nota acquaforte aquarellata di R. Morghen ( F 8 Les marais pontains ). Ma ancor prima, probabilmente vi si fermò nel viaggio di ritorno già nel ’78  per riprendere le due vedute, a penna ed acquarello, conservate a Losanna nel Musée de Beaux Arts e molto meno note: ( F 9 vista sul porto di Terracina  e  F 10, vista nei pressi di Pisco Montano).


 Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832), in viaggio da Roma a Napoli, giunge a Terracina il 23 febbraio 1787, mentre fervono i lavori della grande bonifica di Pio VI e le sue impressioni sono ben diverse da quelle riportate da suo padre: “… Per tutta la sua lunghezza è stato riattato l’antico rettilineo della Via Appia, sulla sua destra è stato riaperto il canale, che assicura il lento deflusso dell’acqua… si progetta, dicono, un altro canale verso i monti. … La stazione di posta consiste d’un semplice capanno di paglia … nel luogo dell’antica Meza il Papa ha fatto costruire un grande e bell’edificio, che segna il punto centrale della palude, e la cui vista fa sperare e confidare nella riuscita dell’impresa…” ( F 11 di C. Labruzzi)

E, dopo aver superato la paura  per “i vapori azzurrini che lasciavano presagire l’aria perniciosa” continua “… Tanto più lieta e benvenuta  apparve perciò la rupe che sovrasta Terracina; ce n’eravamo appena rallegrati, quando, subito davanti a noi, vedemmo il mare ( F 12 penna e acquarello di TH. Jones). Poco oltre, il fianco opposto della montagna ci scoperse la vista di una nuova vegetazione, Le foglie larghe e grasse dei fichidindia sporgevano in mezzo ai bassi mirti color verde grigio, sotto i melograni verde e gialli e tra il verde smorto dei rami d’ulivo. Lungo la strada scorgevamo nuovi fiori e cespugli nuovi, non mai veduti. Narcisi e adonidi fiorivano sui prati…).

Il pittore J. H. W. Tischbein ha il compito di accompagnare Goethe e di ritrarre, con schizzi e disegni i tratti salienti del viaggio. Egli da Napoli a Goethe il 10 giugno scrive: “ I postiglioni di Terracina si mostrarono molto cortesi,…. Ci diedero ottimi cavalli e conducenti, poiché la strada che passa tra i grandi dirupi e il mare è pericolosa…. Mentre attaccavano i cavalli e l’ultimo posto di guardia romano controllava i passaporti, io andai a passeggiare tra le alte scogliere e il mare….In alto, sul ciglio del monte,  le rovine della fortezza di Genserico…. ( F 13  di Louis Chatelet ) Si tratta naturalmente delle rovine del Tempio di Giove che, comunque, a quei tempi venivano credute quelle di una fortificazione di “evo barbarico” , attribuite però a Teodorico.

Il vedutista scozzese Jacob More ( Edimburgo 1740 – Roma 1793) visse a Roma per oltre 20 anni. Viaggiò da Roma a Napoli alla fine degli anni 80 e di lui si conserva anche un acquarello ( F 14, J. More: at Terracina, 1787 ).
Era molto stimato sia dal Goethe che dal Canova. Nel 1781 entrò a far parte dell’Accademia si San Luca. In Scozia, non senza una punta di sciovinismo, veniva ritenuto in Scozia, ai suoi tempi: “
il miglior paesaggista del mondo”.

Sir Richard Hoare Colt, era un mecenate inglese, appassionato archeologo dilettante ed aveva l’intenzione di ripercorrere l’itinerario del poeta Orazio da Roma a Brindisi. Assegnò al Labruzzi il compito di illustrare gli scorci più suggestivi lungo la “Regina Viarum”. Purtroppo gli eventi che seguirono, anche nel Regno di Napoli, alla Rivoluzione Francese e la malattia del mecenate fecero interrompere il progetto a Benevento. Il Labruzzi pubblicò nel 1794 le prime 24 tavole.
Da esse è tratta anche quella a lato. (
F 15 ).

Johann Gottfried Seume (1768 – 1810). Eccolo il primo viaggiatore tedesco, romantico e sportivo: parte a  piedi da Lipsia ed arriva a Siracusa. Ha lo zaino di pelle di foca in spalla, il berretto di pelo ed il bastone, ai piedi calza scarponi chiodati. Dopo Goethe è senz’altro il viaggiatore del Grand Tour più conosciuto per il suo romanzo epistolare: Passeggiata a Siracusa. Il 1°  Dicembre 1801 scrive: “ Come vedi sono fuori dalle paludi…. Quando il temporale cessò, il cielo si schiarì, e nella luce del tramonto scorsi sulla mia destra il monte della divina Circe, mentre sulla sinistra brillavano le rupi di Terracina…. Dopo che fui sistemato alla Locanda Reale, un edificio grande e maestoso sulla strada militare che passa davanti alla città, perlustrai quel punto in alto, sulle rocce… Mi curai poco delle rovine del Tempio di Giove e del nuovo palazzo del Papa, ma mi godetti la vista della splendita regione che si stendeva sotto i miei occhi, dei magnifici giardini d’aranci…. Vidi anche molte palme, mentre a Roma me ne mostrarono come rarità una sola, non lontano dal Colosseo. Dall’ultima stazione di posta uno splendido viale d’albicocchi conduce alla città.

René Chateaubriand, diventò segretario d’ambasciata presso la Corte Pontificia nel 1803, già nello stesso anno, il 31 dicembre è a Terracina e nel suo taccuino annota: “ ho aperto la finestra: le onde spiravano, quasi lambendo le mura dell’albergo (la locanda ai piedi di Pisco Montano!).  Io non rivedo mai il mare senza un moto di gioia e quasi di tenerezza…”
Gli Inglesi riprendono a Viaggiare verso Napoli solo dopo la caduta di Napoleone, James Hakewill  nel 1816 è a Terracina e disegna a matita questa veduta  (
F 16, La rocca de Anxur ).

 
 
A Terracina, proprio nella
 locanda, vicino a “Porta Napoletana” avvenne per davvero l’incontro tra
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Rossini e Stendhal ®
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Nel suo bel romanzo:   La commedia di Terracina F. Vitoux ( F17 ) indica una data precisa: quella  del 16 dicembre 1816. Essa è verosimile ancor più di quella scritta dallo stesso Stendhal: 7 gennaio 1817. Comunque è certo che l’uno e l’altro sono passati più di una volta per Terracina e che si sono incontrati anche altrove. La locanda, prima della frontiera, infine, è luogo ormai entrato a far parte dell’immaginario collettivo dei Viaggiatori.

Achille Etna Michellon giunge a Roma, ospite di Villa Medici, dopo aver vinto il grand prix de Rome nel  1819. Già nello stesso anno è a Terracina, in viaggio verso Napoli. Dal Ponte del Salvatore ritrae la bella veduta che viene litografata splendidamente da Villeneuve. ( F 18 )

Lady Sidney Morgan durante il suo viaggio in Italia, negli anni 1820 / 21, prova grande simpatia per i briganti perché “conservatori, antirivoluzionari ed antifrancesi” e scrive: “ Da Terracina a Fondi, da Fondi ad Itri, in breve dalle paludi pontine alle rocce di Scilla ci si ritrova nel classico territorio del brigantaggio, una terra che ha visto nascere il più distinto tra i ladri, attivo lungo le grandi strade dei tempi moderni, Giuseppe Mastrillo…” E più avanti: “ L’arrivo a Terracina, ultima città degli stati del Papa ( l’Anxur dell’antichità ) è tanto magnifico per il paesaggio quanto interessante per i ricordi storici e classici. A destra si vede il mare; le montagne sembrano uscire dalla baia; la vecchia città alza le sue nere abitazioni sulla sommità di una roccia isolata, molto ripida e selvaggia; tuttavia, gli aranci e i limoni crescono in tutte le sue fenditure, e mostrano i loro frutti dorati attraverso fichi d’india e palme…” ( F 19, W.Gmelin ).

Il primo grande scrittore statunitense Irving Washington (1783 – 1859) nel suo lungo viaggio in Europa giunse a Terracina subito dopo l’avvenuto rapimento dei collegiali dal convento di San Francesco (1821). Ne parla nei “Racconti di un viaggiatore”, pubblicato nel ’24, di cui fa parte “Storie di Briganti italiani” ambientato nella Locanda di Terracina ( F 20 acquaforte di A. L. Castellan ). “ La locanda di cui stiamo parlando si trova proprio sotto le mura di Terracina, ai piedi di un vasto ed erto colle roccioso, coronato dalle rovine del castello di Teodorico, re dei Goti (il tempio di Giove Anxur!) …Terracina è una cittadina italiana antica e pigra, … su tutto sembra aleggiare un’ immota indolenza…Il porto è senza una vela, salvo a vedere, di tanto in tanto, una feluca solitaria che vomita il suo santo cargo di baccalà, la magra provvista per la quaresima.

Jean Baptiste Isabey, vedutista francese pubblica nel 1822 “Voyage en Italie”  di cui fa parte la litografia dal titolo: Terracine. Route de Rome à Naples. ( F 21 ) Il gruppo dei tre briganti nei pressi dello “scoglio incantato” all’altezza dell’Acqua Magnese sembra in attesa di una qualche preda non troppo impegnativa.
Del
1844 è la litografia di L. Ph. Coignet: Vue de Terracine  ( F 22 ).

Il grande musicista tedesco, Felix Mendelssohn, il  13 aprile 1831, da Terracina scrive alla sorella Rebecca: La strada da Roma a Napoli è la più bella che io conosca e il modo di viaggiare è assai confortevole… Terracina, che si trova proprio alla fine del viale ( il tratto rettilineo dell’Appia da Cisterna a Monte Leano ), non la si vede finché non si è giunti vicino. Poi ad un tratto si volta a sinistra di una roccia e ci si trova il mare davanti; giardini d’aranci, palme e tutta la vegetazione meridionale si trovano sul pendio davanti alla città, le torri spuntano dai boschetti e i porti si addentrano nel mare…  Il vero Sud comincia proprio a Terracina.

 

  

Il celebre favolista danese, Hans Christian Andersen , viaggiò da Roma a Napoli in 4 giorni sull’Appia.
Il 13 febbraio 1838
è a Terracina, rimpiange di non essere un pittore e, tuttavia, sul suo taccuino di viaggio schizza a matita i luoghi che lo colpiscono, oltre a descriverli:
“Nu sedder jeg i Terracina…,mi trovo a Terracina, la luna nuova splende sul mare lucente e sta tuonando…. Dio quante cose ho visto oggi! Di mattina ha fatto molto freddo ed il cielo era immensamente azzurro, all’alba si coronò di rosa ed i monti sembravano un velluto azzurro, ardeva un fuoco la sopra, e si sarebbe detto una stella…siamo scesi in uno splendido albergo munito di porticato
( F 23 matita ). La nostra stanza ha la fnestra sul mare i cui spruzzi quasi arrivano al nostro muro. Abbiamo fatto una passeggiata fino alla rocca di Teodorico ( al Tempio di Giove! ): che esuberanza di Natura! ( F 24, matita, dal taccuino di H, C. Andersen ) …Passeggiammo lungo il mare dove l’onda si frange contro alte rupi, i monti impallidivano sempre di più, con il calar del giorno, mentre, sul lato opposto, dove il sole stava tramontando, erano neri come il carbone in contrasto con il cielo rosso fuoco, mentre il mare ai loro piedi era d’argento…. (  F 25, schizzo a matita )

Dopo la partenza da Terracina, presso “Portella” deve fermarsi al controllo dei docomunti e così dalla carrozza può disegnare comodamente quello che vede a destra
(
F 26 ) e, quello che vede a sinistra lo descrive così negli appunti di viaggio: “Vicino al confine vedemmo due grandi cavità, in una c’erano delle capre, poi giunse un pastorello che tolse un fascio di rami di pino che bloccava l’ingresso, e ne uscì un’enorme quantità di capre; e avevano, queste, appena imboccato il sentiero che sale sul monte, che giunse un asinello serio e pensoso…Con gesto solenne il pastorello si gettò sulle spalle un lembo del mantello e restò a lungo immobile, ritto su un’alta roccia, lo sguardo fisso lontano, sembrava uno di quei briganti che si vedono nei quadri.

Da questo momento vedutisti e pittori che ritraggono Terracina ed i suoi dintorni di affollano: Il Brockedon, il Rossini, il Pinelli  e la lunga schiera dei pittori della palude, ma le loro opere le abbiamo già mostrate in altri capitoli. Ormai il ’48 è alle porte e ci piace terminare l’excursus  sul  “ Grad Tour ”  con le visioni “da favola” del grande Danese. Aggiungiamo solo due vedute del 1858, opera di Bourgeois de Mercey, che non hanno trovato spazio nell’economia di altri paragrafi: quella a fianco        ( F 27, litografia in bicromia ) e quella in basso che mostra  la  Salita Annunziata così come era poco prima dell’Unità d’Italia.

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